“Non ci arrendiamo alla sostituzione etnica”. Con una frase che evocava le peggiori teorie complottiste dell’estrema destra, il ministro Lollobrigida è riuscito, un anno fa, a scatenare una vera e propria bufera. In pochi però colgono, anche oggi, il grottesco di queste convinzioni a cui molta destra (più o meno) estrema allude. Sì, perché oggi gli “stranieri” sono indispensabili per portare avanti servizi essenziali. E, a partire dalla sanità, il famoso “Prima gli italiani” sbandierato da Meloni e Salvini in campagna elettorale, non solo non funziona, ma rischia di fare saltare tutto. L’esempio? Lo danno le regioni guidate da maggioranze di centrodestra.
Dalla Sicilia alla Lombardia: le regioni chiedono aiuto all’estero
L’ultima, solo in termini di tempo, è la Sicilia. La Regione guidata dal forzista Schifani ha urgentemente bisogno di quasi 1500 medici e ha pubblicato lo scorso novembre un avviso per reclutarli da tutto il mondo. È rivolto ai cittadini europei ma anche extracomunitari.
(Il governatore della Regione Sicilia Renato Schifani. Foto La Presse)
A oggi ne sono stati selezionati 16. Per il governatore è “il primo passo per rimediare alle carenze”. Ma l’ironia è che, allo scorso 30 gennaio, al bando avrebbero risposto appena 50 medici. Non è un caso isolato. Dal 2022 la Calabria recluta medici cubani. In due anni ne sono arrivati quasi 300 per coprire i buchi aperti dai pensionamenti del personale e dal turnover.
E ancora una volta, per dirla con le parole di Ennio Flaiano, la realtà supera la satira. Per salvare la sanità di una Regione amministrata da un governatore forzista si deve così chiedere aiuto a un Paese comunista sollevando anche perplessità a livello internazionale. Con buona pace dello spauracchio agitato per decenni da Silvio Berlusconi.
Bandi flop e “fuga” all’estero: nemmeno i medici stranieri vogliono lavorare più in Italia
C’è poi il nodo degli infermieri. Qui la crisi è cronica e Guido Bertolaso, oggi assessore al Welfare della Regione Lombardia guidata dal leghista Fontana, ha annunciato che si sta lavorando a degli accordi per formare infermieri all’estero e farli lavorare all’interno dei confini regionali. Nel corso del 2023 le Regione ne ha già reclutati più di mille.
Non c’è da stupirsi: a livello nazionale mancano 150mila infermieri e, una volta avviate le varie riforme previste dal Pnrr ne serviranno probabilmente di più. Così il ministro Orazio Schillaci ha annunciato di volerli cercare in India. Che la carenza di sanitari nelle strutture pubbliche sia ormai un’emergenza lo testimonia anche la recente campagna del comune di Venezia, guidato dal leghista Brugnaro.
(La campagna per il reclutamento di medici stranieri proiettata sui palazzi monumentali di Venezia – Foto VeneziaToday)
Proiettata anche sui monumenti della “Serenissima” per far fronte alla drammatica carenza di medici di base, era rivolta anche agli stranieri e, come riporta VeneziaToday, ha già dato i primi risultati. Del resto la sanità pubblica veneta si regge anche grazie al contributo di centinaia di medici stranieri.
Precarietà e scarsa integrazione fanno fuggire anche i sanitari stranieri
Ma il paradosso è che, mentre cerchiamo di reclutare medici e infermieri altrove, i nostri professionisti sanitari si trasferiscono all’estero in cerca di migliori opportunità. “Il problema è che formare un medico ci costa quanto una Ferrari, quindi se in cinque anni vanno via 10mila medici è come se regalassimo 10mila Ferrari agli altri Stati” ci raccontava il segretario del sindacato dei medici Anaoo Assomed, Pierino di Siverio. Secondo recenti stime circa dieci medici al giorno lasciano la nostra sanità pubblica, in molti diretti all’estero, in tanti vengono assunti da cliniche private. E molti bandi pubblici, in particolare quelli per i pronto soccorso, vanno ormai deserti.
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Ancora più paradossale il discorso per gli infermieri. “La figura infermieristica dovrebbe essere il pilastro dell’assistenza sul territorio e a casa: c’è anche un decreto, il DM 77 dell 2022, che lo stabilisce di cui non si parla più. Mancano le risorse, ovvero gli infermieri. Ne servirebbero svariate migliaia” mi suggeriva Antonio Sciscicone, segretario di Nursing Up, uno dei più grandi sindacati infermieristici italiani in una recente intervista.
Averne di più sul territorio potrebbe trasformarsi in un antidoto alla crisi dei pronto soccorso e delle lunghe lista di attesa, ma la realtà è che gli infermieri italiani non vengono né valorizzati, né retribuiti adeguatamente. E in molti fanno le valigie in cerca di una vita migliore con buona pace del governo sovranista e delle sue buone intenzioni.
(I medici cubani reclutati per far fronte alla pandemia da Covid-19 dal governo Conte – Foto La Presse)
Così, per tappare i buchi nella sanità pubblica, si cercano medici e infermieri non italiani. Per farlo si ricorre a un decreto legge di quattro anni fa (il 18/2020) con cui si autorizza l’assunzione a tempo di sanitari provenienti da paesi stranieri. È chiaramente una legislazione d’emergenza ideata per fare fronte alla pandemia. È diventata, in breve, la prassi con la quale ospedali e aziende sanitarie provano a supplire alla drammatica carenza di organico senza intaccare i rigidi tetti di spesa. La normativa è stata prorogata per ben tre volte e permette di reclutare professionisti con contratti precari.
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Ma il meccanismo però non funziona più. Molti dei bandi indetti sono spesso un buco nell’acqua. E le ragioni sono semplici: le assunzioni sono temporanee e non in molti sono disposti a trasferirsi nel nostro Paese per diventare medici o infermieri di Serie B. Così, mentre i nostri professionisti vanno all’estero, l’Italia è tra gli ultimi paesi dell’area Ocse per l’utilizzo di professionisti della sanità formatisi altrove. Tradotto: nemmeno gli stranieri vogliono venire a lavorare in Italia.
(Se non visualizzi il grafico clicca qui)
Le ragioni non sono solo economiche. “C’è il nodo della cittadinanza per i propri figli che in Italia non è riconosciuta nemmeno se si nasce qui. In molti decidono così di trasferirsi dove si vive più sereni. Ed è un danno enorme perché questi professionisti vengono formati con i soldi delle nostre tasse” mi raccontava un giovane medico di origine camerunense che ha studiato nel nostro Paese e che è oggi un cittadino italiano. Mi faceva notare come molti colleghi non italiani che avevano studiato con lui avevano scelto di creare una famiglia altrove. E a rimetterci siamo tutti.
Così, mentre non si fa nulla per far restare i nostri professionisti, parole che sembrano oggi astratte come “precariato” e “integrazione” mettono in crisi anche il nostro Welfare. E l’impressione è che, di questo passo, il vero pericolo non sia una grottesca “sostituzione etnica”. Ma quello di ritrovarsi tra le macerie di un ex potenza industriale che ha scelto di restare nel passato.
Fonte : Today