Sta lavorando a una tecnologia che potrebbe ricreare il ghiaccio dell’Artico e aumentarne lo spessore. “L’Artico si sta sciogliendo. Entro il 2050, cambierà colore. Vedremo il primo evento di oceano blu, dopo due milioni di anni. Le conseguenze? Enormi, per il riscaldamento globale. Il ghiaccio è l’aria condizionata del mondo. Va protetto, preservato e ripristinato”.
Lui è Andrea Ceccolini e questa la sua seconda vita. Nella prima ha creato una startup fintech che ha conquistato il mondo. Poi ha lasciato tutto per seguire un piano B e restituire un po’ del suo successo. Informatico appassionato di ambiente, corsa in montagna e clima, ha portato intelligenza artificiale e robotica in una startup che sta creando droni sottomarini per ripristinare il ghiaccio dell’Artico. E per testare la sua tecnologia è andato in Alaska, tra gli Inut, in luoghi estremi. Dove tutto è ghiaccio, la temperatura scende anche -50 °C e il vento soffia a 80 km orari. Ceccolini è il Co-Ceo di Real Ice, una startup gallese: è entrato nel 2022 e ha stravolto le carte. “Le startup possono fare miracoli, perché hanno la libertà di pensare in grande e a cose impossibili, estreme, radicali”.
Il suo obiettivo: preservare 4 milioni di chilometri quadrati di ghiaccio marino, 15 volte la superficie dell’Italia. E interrompere un circolo vizioso. “Il riscaldamento globale provoca la perdita di ghiaccio artico e la perdita di ghiaccio artico provoca, a sua volta, ulteriore riscaldamento globale. Perché? L’effetto più evidente si chiama albedo effect, ovvero la capacità del ghiaccio nell’Artico di riflettere l’energia solare. E questo vale un terzo del global warming“.
Come si protegge il ghiaccio nell’Artico? Nel tempo la scienza ha trovato diversi metodi. “Tra i più semplici c’è quello che si chiama Ice Thickening, l’ispessimento del ghiaccio. Funziona cosi: si pompa acqua sopra uno strato di ghiaccio già esistente sul mare. L’acqua a contatto con la temperatura fredda dell’atmosfera si ghiaccia rapidamente. Noi facciamo qualcosa di più sofisticato: ossia “Aqua freezing“. Andiamo a pompare acqua dove c’è uno strato di neve sopra il ghiaccio. La neve si trasforma in ulteriore ghiaccio. Ma c’è di più: diminuisce il suo fattore isolante. Così l’aria fredda riesce a raggiungere anche la base del ghiaccio sul mare e toccandolo lo fa crescere di più anche da sotto, in maniera naturale.”.
Per pompare acqua si usano pompe elettriche, ma la sfida è farle funzionare in un clima come quello dell’Artico. È qui che Ceccolini intuisce una soluzione. E se provassimo a portare la tecnologia sott’acqua, dove invece l’ambiente è controllatissimo, la temperatura è -1,5 °C e le correnti sono minime? Detto, fatto.
“Stiamo progettando Re-icing drones, droni per rifare il ghiaccio. Si muovono sott’acqua, fanno un buco in cui passa la pompa, buttano acqua e coprono lo strato di neve. Poi tornano alla base per ricaricare le batterie. Stiamo pensando di usare anche l’idrogeno verde”.
Il progetto sta conquistando molti advisor tra i professori dell’Università di Washington, Arizona State University e il Center for Climate Repair dell’Università di Cambridge, un centro creato da Sir David King, ex portavoce dell’ambiente del governo Tony Blair, e ora diretto da Sean Fitzgerald.
Due le missioni che Ceccolini ha già fatto per testare la sua tecnologia. E a questo punto l’intervista diventa un viaggio. Prima missione, febbraio 2023.
Siamo in Alaska. A Nome, a 150miglia dalla Siberia. “È un paesino nell’Artico, scollegato dal resto del mondo, dove ci si muove solo con le slitte. 3mila abitanti, un tempo meta dei cacciatori d’oro. Il cielo, il mare, la terra, tutto è di un solo colore: bianco grigio. Se trovi una giornata di nebbia, ti sembra di camminare dentro un cubo. Il nostro lavoro è in mezzo all’oceano. Proprio in un giorno di ice fog abbiamo preso coraggio e siamo andati in mare a fare buchi nel ghiaccio. Funziona. Ma c’era un vento terribile, a 80 km l’ora”.
Seconda missione: Victoria Island, nello stato del Nuvalut in Canada. “È uno stato enorme, 2,2 milioni di chilometri quadrati, con 38.000 abitanti. I padroni di questa terra sono i suoi abitanti. Sono loro gli esperti. Sanno tutto del ghiaccio. Non puoi far nulla senza coinvolgerli. Saresti un criminale.
Abbiamo passato diverso tempo con gli Inuit, cacciatori, pescatori. Cacciano caribù, renna selvatica che dà cibo per un mese a una famiglia intera e il musk ox [bue muschiato, Ovibos moschatus ndr.], bisonti enormi, con cui mangiano per 3 mesi. È stata un’esperienza bellissima. Ci hanno accolto a braccia aperte, ma è molto difficile comunicare con loro. La loro faccia è completamente coperta, hanno un cappuccio enorme, le sciarpe… Parlano con gli occhi. L’occhio più aperto vuol dire sì, l’occhio più chiuso significa no. Conoscono l’inglese, ma non si esprimono molto volentieri con le parole. Credono nell’esempio più che nella spiegazione. In questa seconda spedizione, ospiti della Polar Station, abbiamo testato la pompa con l’idrogeno”.
A che punto siete? “Siamo al punto cruciale di dover portare la tecnologia sott’acqua. Entro il 2026 vogliamo aver finito questa fase di ricerca e sviluppo e avere un modello di drone. Nel 2027 vogliamo coprire 100 km quadrati in una baia nell’Artico, sempre in Canada.
100 chilometri quadrati danno un beneficio che comincia a essere misurabile anche a livello di clima. In termini di bilancio energetico del Pianeta, l’equivalente di rinfrescamento che viene fornito dal ghiaccio per chilometro quadrato è 7.000 tonnellate di CO2 estratte dall’atmosfera.
Per cui 100 chilometri quadrati si parla di 700.000 tonnellate di cooling equivalent. Quando si arriva vicino al milione di tonnellate si riceve l’attenzione di governi e Nazioni Unite.
Ma questa è la soluzione al problema clima?
“No, noi stiamo comprando tempo. La polemica che in inglese chiamano ‘moral hazard’ per il clima, è che prevedere misure temporanee può disincentivare l’adozione di misure permanenti. Ma ormai la scienza ci dice che dobbiamo sia perseguire la soluzione permanente (ridurre le emissioni e rimuovere CO2 dall’atmosfera) sia adottare quelle temporanee (climate intervention), perché siamo in ritardo enorme con le prime”
Perché lo fai? “Ho tre figli, sogno di vederli vivere in un mondo un po’ più sostenibile, con meno conflitti, meno crisi, meno caos. La mia motivazione è costruire qualcosa di bello per le generazioni future. Ho lasciato la mia carriera precedente, dove ho avuto molto successo, per trovare un ambito in cui il mio background tecnologico potesse risolvere un problema importante. È un’idea ambiziosa, ma ambizioso lo sono da sempre”.
La storia. Informatico, livornese, Ceccolini studia sceglie dell’informazione a Pisa, mantenendosi durante gli studi. “Vengo da una famiglia bella, ma che non aveva tutti i mezzi per sostenermi. E questa è stata la mia fortuna. Da giovanissimo, mi sono trovato di fronte alle mie responsabilità. Ho cominciato a lavorare part time già a 16 anni. Finito un istituto tecnico di informatica, ho iniziato a lavorare a tempo pieno e mi sono iscritto all’università. Passavo 16 ore al giorno impegnato, fra studio e lavoro. Ho capito quanto era importante essere preparati e mi ha aiutato a essere ambizioso anche nella carriera”.
Nel 98, crea per un’azienda di Pisa per cui lavora una tecnologia per il mercato telematico delle obbligazioni e dei titoli di Stato. Con questo prodotto va a Londra, fonda una startup. Nel giro di poco tempo ha già come clienti tutte le banche di investimento internazionali come Morgan Stanley, Merril Lynch, UBS, Citigroup. ION (questo il suo nome) diventa una multinazionale, con uffici ovunque nel mondo. E migliaia di dipendenti. Il dipendente numero 3 è una ragazza finlandese che diventerà sua moglie.
“A un certo punto però, dopo 20 anni di corse e a causa di alcuni cambiamenti della società ho capito che volevo fare altro. E sono uscito. Ho ricominciato a studiare. Ho fatto una full immersion nella scienza atmosferica e nella fisica e poi ho conosciuto i ragazzi di Real Ice”.
Ceccolini è innamorato del Pianeta, dei suoi tre figli (due studiano computer science, la più piccola è ancora al liceo), e della corsa in montagna. Con questa sfida ha messo insieme i punti della sua vita.. “Andare a correre in ambienti incontaminati è bellissimo. Eppure anno dopo anno, ho visto le Alpi trasformarsi. Cambiare in peggio. Correre nel rispetto dell’ambiente è una cosa straordinaria, ma quando ti accorgi che tutto si sta distruggendo, vuoi fare qualcosa. E non ti fa paura se la sfida è molto grande…”
Obiettivo di Real Ice: coprire 1 milione di chilometri quadrati di Artico all’anno. “Questo dovrebbe essere sufficiente a proteggere i 4 che ancora abbiamo a fine estate nell’Artico, e anche a iniziare a ricrearne, fino a tornare a dove eravamo 40 anni fa, quando abbiamo iniziato a osservare la decrescita”.
Capitali. “Ci serviranno circa 10 miliardi di dollari l’anno per coprire l’acquisto dei droni, per finanziare l’operazione, incluso il personale, le piattaforme di distribuzione dell’energia e l’energia stessa che va prodotta localmente. In confronto, ogni anno per i danni del clima stiamo perdendo più di 200 miliardi di dollari. E arrivare a “net zero” con le emissioni serra costerà almeno 4.000 miliardi di dollari all’anno, da qui al 2050″.
Centrale sarà il ruolo dell’intelligenza artificiale nei loro piani. “La quantità di dati che servono per questa soluzione è enorme. Ogni giorno arriva una versione aggiornata del ghiaccio e della neve, quanto è spesso, quanto è esteso. I droni stessi raccoglieranno informazioni molto dettagliate sulle operazioni”.
Al momento l’azienda si sta autofinanziando. Punta ad attirare investitori, sovvenzioni e a coinvolgere policy makers, governi e le Nazioni Unite.
“Io credo nell’impegno. C’è una parte di talento che ci accompagna quando veniamo al mondo, ma solo l’impegno, la voglia di fare e l’ottimismo ti portano risultati.
La corsa insegna ad andare oltre i propri limiti, a sfidare il proprio corpo. Viviamo in un mondo dove, se volessimo, possiamo circondarci solo di piaceri. Ma questo ci porta dolori, problemi mentali e di motivazione. Dico sempre ai miei figli: “La vita è un bilanciamento tra i piaceri che lei ci può dare e le sfide che diamo a noi stessi”.
Tornerai in Italia? “Sono innamorato del mio Paese. Mi vengono le lacrime agli occhi tutte le volte che torno. Quante opportunità buttiamo via. Ovunque, con tre sassi fanno un museo. Noi con le opere d’arte più belle del mondo facciamo fatica a vivere di rendita. Ma, chissà, magari un giorno riusciremo a mettere un piede nell’Artico. Come Italia…”.
Fonte : Repubblica