Quarto potere e quella realtà filtrata dai media

Grazie anche alle intuizioni di Welles, Gregg Toland, considerato uno dei primi grandi direttori della fotografia, introdusse in Quarto Potere una grande profondità di campo che permise al regista di mettere a punto uno stile tanto compositivo, quanto narrativo facendo un uso del montaggio per l’epoca innovativo. Qualcosa che rende, ancora oggi, il linguaggio di Quarto potere tecnicamente ineccepibile. Altro aspetto quello della colonna sonora, composta tra l’altro da un genio come Bernard Herrmann, che non solo enfatizza l’immagine ma vive anche di luce propria. Un’attenzione maniacale quella nei confronti del sonoro che, senza alcun dubbio, Welles aveva sviluppato a seguito della sua esperienza in radio.

Qual è la realtà più reale?

Se quindi Orson Welles riempie gli occhi dello spettatore di suggestioni visive e sonore, di riflessioni attualissime sull’ambizione e sul potere, oltre che sulla parabola di trionfo e di caduta di un uomo c’è un aspetto di Quarto potere che, soprattutto oggi, parla di noi. Se infatti, come abbiamo detto, il film è un racconto a ritroso, un tentativo di catturare l’essenza di un uomo che – fino alla fine resterà un mistero, a distanza di ottantatré anni Welles ci invita a riflettere su quanto lo storytelling delle nostre vite sia viziato in un’epoca, la nostra, in cui i media sono molto più presenti rispetto al 1941.

Qual è la realtà più reale: quella che ci viene mostrata, che decidiamo di mostrare e che quindi va a rappresentare l’altro e noi stessi oppure quella che rimane celata agli occhi del mondo? Chi siamo davvero: chi diciamo di essere al mondo oppure quello che raccontiamo a noi stessi? Probabilmente l’essenza più profonda di ogni individuo è destinata a rimanere un puzzle – come quello che tenta di comporre la moglie di Kane, un enigma irrisolvibile agli occhi del mondo e in parte, anche a noi stessi.

Fonte : Wired