Palm Royale su Apple Tv+ è la migliore parodia femminista mai vista

Palm Royale è una delle serie al femminile migliori che si sono viste negli ultimi tempi, lo è per qualità della scrittura, intreccio, per la caratura delle interpreti, ma soprattutto per le tematiche affrontate, la sua capacità di unire profondità con satira sociale e politica, in un’analisi del femminismo molto acuta e ben distante dalla mera retorica, dall’idealizzazione. Insomma questa serie su Apple Tv+ ha molto da offrirvi. 

Palm Royale – la trama

Protagonista di Palm Royale è Maxime Simmons (Kristen Wiig), ex reginetta di bellezza, decisa con tutte le sue forze a intraprendere una scalata ai vertici di dell’alta società di Palm Beach, dove c’è appunto il Palm Royale, il club femminile più esclusivo d’America. In quell’estate del 1969, tra sorrisi, abiti alla moda, ricevimenti frivoli e sfarzosi, Maxime dovrà però vedersela con la strenua ostilità di Evelyn (Allison Janney), la “Regina” di quel piccolo regno, e l’ambiguità di Raquel (Claudia Ferri), Mary Jones (Julia Duffy), e Dinah (Leslie Bibb) che formano una sorta di élite nell’élite di quel posto, che pare stare su una realtà distante da tutto e da tutti. Maxime non ha un soldo, non ha le conoscenze, il potere, ma può usare come “risorsa” Norma (Carol Burnett) anziana membra del club, che a causa di un incidente domestico è finita in stato vegetativo, seguita solamente dal fedele tuttofare, l’ex marine e attuale bartender del club Robert (Ricky Martin). 

Il marito di Michelle, Douglas (Josh Lucas) assiste ai suoi tentativi, tra il maldestro, il machiavellico e l’infantile, di diventare un simbolo di quel mondo rarefatto, fatto di privilegio ed agiatezza, di immagine e opulenza. Ma davvero ne vale la pena? Davvero i complotti, opportunismi, le mille trovate di questa infiltrata valgono la candela? O forse hai ragione Linda (Laura Dern) che guida un circolo femminista alternativo, e quel mondo lo conosce bene, detestandolo intensamente? Palm Royale da subito mostra una qualità altissima per quello che riguarda non solo la caratura di un cast stellare, in cui splende una Kristen Wiig come sempre scatenata e simpaticissima, ma anche scenografie e costumi a livello delle migliori maestranze hollywoodiane.

Lo stesso dicasi per trucchi e make up, che sono la porta verso un significato molto piu universale di quello che l’ambientazione alla fine dei ruggenti anni ’60 suggerirebbe. Sì perché la verità è che  Palm Royale è un racconto che dietro la commedia degli equivoci, le battaglie fatte di dialoghi, inganni, patetiche figure barbine e decostruzione del mito della felicità glamour, si prende l’ambizioso compito di parlarci del femminismo, della sua declinazione moderna, senza risparmiare critiche alla declinazione che ha avuto in America. La libertà è importante? Si, ma forse non quanto una brosa di Gucci, un amante atletico, un abito francese o potere guardare dall’alto in basso le altre, quelle con cui Maxime fa finta di essere in buoni rapporti. Massacro gioioso e morbido, questa serie nasconde una ferocia e una lucidità ammirevoli. 

Una dissacrante analisi dell’universo femminile moderno

Tutte le donne protagoniste di Palm Royale hanno dei segreti, dei peccatucci, ma soprattutto sono particolarmente ipocrite. Maxime si finge amica di tutte quelle che incontra semplicemente per poter entrare a far parte del club, per potersi cambiare d’abito ogni due secondi e agghindarsi come una diva hollywoodiana. Conformista e ignorante, materialista ed egoista, è anche però indifesa, ingenua e incapace di capire come la sua vita sia una grande bugia che lei stessa autoalimenta. Palm Royale su di lei marcia per creare quella che è una parodia, anzi un attacco frontale, al mondo femminile, qualcosa di assolutamente inedito nel panorama televisivo moderno. Il romanzo da cui è tratta la serie, “Mr. & Mrs. American Pie” di Juliet McDaniel, fa da base per un iter narrativo in cui non vi sono solo gli echi della Seconda ondata femminista.

In più di un’occasione infatti, pare di stare più tra gli yuppies degli anni ’80, a metà tra la perdita totale di emancipazione e gli inizi della Terza ondata femminista, quella che comunque faceva suo cavallo di battaglia la persona singola. E qui di individualismo ce ne sta a pacchi, non solo nelle varie serpi del Palm Royale, ma anche in Linda, hippie che alla fin fine, più che far aggregazione fa un sacco di confusione, si lancia in discorsi politici senza capo né coda, un po’ come successo anche con il nuovo femminismo, quello post MeToo. Alla fin fine, è il confronto-scontro con Evelyn il più interessante, perché appare chiaro che lei e Maxime altro non sono che l’una lo specchio dell’altra. Vi è un chiaro messaggio politico di critica all’incapacità da parte delle donne di fare veramente gruppo, di essere individualiste ed egoiste, in questa serie, che ha brio, ritmo, inventiva e frizzantezza.

Permane la sensazione di una deficienza generalizzata in un mondo, quello femminile, che non riesce ad essere femminista veramente se non di maniera, guardando a piccole battaglie di retroguardia senza voler rinnegare quel capitalismo, quel consumismo, che sono alla base della loro diseguaglianza. Questo forse rende Palm Royale una serie conservatrice o reazionaria? Al contrario, perché tra tante risate vi si legge malinconia, una sensazione di solitudine, che solo il dialogo, il confrontarsi, lo smettere di avere i beni di lusso o il benessere economico al primo posto può sconfiggere. Nel suo piccolo, questa serie è sia omaggio a Sex & the City, Gossip Girl o The White Lotus, sia un loro superamento, con quegli ideali borghesi e stantii che le hanno trasformate in parate di superficialità, pompiere modaiole invece che rivoluzionarie. 

Voto: 8

Fonte : Today