Che sapore ha la carne di pitone? La maggior parte degli occidentali probabilmente non ne ha la più pallida idea, mentre in diversi paesi asiatici, come Cina, Malesia, Vietnam, Tailandia, il suo consumo è tanto diffuso quanto quello di altre specie animali comunemente allevate in Europa. Ma quanto è sostenibile allevare pitoni per uso alimentare? Un gruppo di scienziati guidato da Daniel Natusch, ricercatore onorario presso la School of Natural Sciences della Macquarie University di Sidney (Australia), ha provato a rispondere a questa domanda. Ebbene, secondo i risultati dello studio, pubblicato su Scientific Reports, l’allevamento di pitoni avrebbe un impatto ambientale inferiore e una resa molto superiore rispetto a quello di maiali, polli o mucche.
Lo studio
Il gruppo di studiosi ha preso in considerazione due specie di pitone, allevate in Tailandia e Vietnam: la Malayopython reticulatus e la Python bivittatus. Testando gli effetti di diversi regimi alimentari, è emerso che i pitoni di entrambe le specie crescono rapidamente e tendono a perdere solo una piccola percentuale di massa corporea al giorno (lo 0,004% della loro massa totale) se sottoposti a periodi di digiuno della durata massima di circa 4 mesi. Inoltre, appena hanno ripreso a nutrirsi, gli esemplari sottoposti a digiuno hanno rapidamente riacquisto la massa corporea persa. “I cambiamenti climatici, le malattie e la diminuzione delle risorse naturali – spiega Natusch – stanno aumentando la pressione sul bestiame e sulle colture vegetali convenzionali, con effetti disastrosi su molte persone nei paesi a basso reddito che già soffrono di una carenza proteica acuta”. E, proprio per le caratteristiche appena descritte, gli allevamenti di pitoni potrebbero costituire secondo gli autori dello studio un’efficiente risposta al problema globale dell’insicurezza alimentare.
Tra l’altro, prosegue Natusch, lo studio ha dimostrato che “gli allevamenti di serpenti possono convertire efficacemente molti rifiuti agricoli in proteine, pur producendo relativamente pochi rifiuti propri”. Alcuni gruppi di pitoni sono stati infatti nutriti con successo utilizzando “salsicce” ottenute dalla combinazione di scarti di carne o pesce che sarebbero altrimenti finiti nei rifiuti. Inoltre, nonostante i pitoni siano esclusivamente carnivori in natura, sono risultati capaci di digerire soia e altre proteine vegetali “nascoste” all’interno delle salsicce.
Sangue freddo
Una volta processato, si legge nello studio, circa l’82% del peso di un pitone vivo dà origine a prodotti utilizzabili: dalla carne, alla pelle, al grasso. Inoltre, per i pitoni il “protein conversion ratio” (inteso come la quantità di proteine consumate dai pitoni divisa per la quantità di proteine contenute nella carne ottenuta dagli animali) è risultato pari a 2,4. Sempre secondo i dati riportati nello studio, nel caso del pollame lo stesso rapporto sarebbe pari a 20,5, mentre per gli allevamenti di maiali o di bovini sarebbe pari, rispettivamente, a 37,5 e 83,3. In altre parole, da questo punto di vista gli allevamenti di pitoni risultano essere più di 30 volte più efficienti rispetto agli allevamenti di bovini.
“Uccelli e mammiferi sprecano circa il 90% dell’energia ricavata dal cibo che mangiano, semplicemente per mantenere costante la propria temperatura corporea”, spiega Rick Shine, co-autore dello studio e docente presso la Macquarie University. Gli animali a sangue freddo, come i rettili, prosegue, sfruttano i raggi del sole per scaldarsi, e sono quindi molto più efficienti nel convertire il cibo che mangiano in massa corporea rispetto agli animali a sangue caldo.
Secondo Shine, lo studio evidenzia il potenziale dell’allevamento di pitoni specialmente per quei paesi in cui la carne di serpente viene consumata abitualmente. Trova però improbabile che il pitone arrivi a breve termine sulle tavole europee o di altri paesi occidentali: “Penso che passerà molto tempo – conclude – prima di vedere hamburger di pitone serviti nel vostro ristorante preferito”.
Fonte : Wired