Non ci sono prove che TikTok costituisca davvero “una minaccia alla sicurezza nazionale” delle nostre democrazie come in molti paventano. In compenso è abbastanza evidente che sta facendo perdere il senso della misura e della coerenza ai diversi leader politici. Soprattutto in America.
Prendete Joe Biden: il presidente in queste ore ha fatto trapelare di essere pronto a controfirmare una legge che metta al bando il social network cinese se il Congresso la approverà, epperò sono passate appena 4 settimane dal suo giulivo debutto sulla pericolosissima piattaforma dei video brevi (debutto giulivo e, a leggere la maggioranza dei commenti, disastroso): insomma per il presidente degli Stati Uniti, TikTok è sì “una minaccia per la democrazia” epperò intanto ci va, posta video dove fa il simpatico, perché il suo team ha capito che è l’unico, vero modo per intercettare il voto dei giovani.
Il suo rivale non è da meno: Donald Trump, quando stava alla Casa Bianca, fu il primo a tentare di mettere al bando TikTok dal territorio statunitense, arrivò a firmare un ordine esecutivo che venne stoppato in tribunale, ma almeno ebbe il merito di aprire la questione: possiamo fidarci di un’app cinese? No. Epperò sempre Trump ieri, dopo che la Camera ha approvato, praticamente all’unanimità, un disegno di legge che vuole imporre alla società cinese ByteDance di vendere entro 6 mesi il ramo d’azienda americano di TikTok a una società americana se non vuole essere bandita, Trump cosa dice? Dice che si TikTok è una minaccia, mica ha cambiato idea, anche se nel frattempo anche lui ha aperto un profilo; però non è più d’accordo a bandirla, perché questa cosa favorirebbe l’odiato Mark Zuckerberg che controlla Facebook e Instagram; e poi perché “i giovani americani mica sarebbero contenti”.
Se i due sfidanti per la Casa Bianca stanno in questa situazione, Tik Tok ha già raggiunto la missione che molti dicono abbia: indebolire le nostre democrazie. Se ne parla da 4 anni e l’unica certezza è la sensazione di pericolo: abbiamo paura di TikTok. Ma perché? La prima questione è stata la gestione dei dati degli utenti: dati che finiscono in server cinesi dove il governo per una precisa norma può imporre a ByteDance di farseli consegnare senza tante spiegazioni. Più o meno sulla base di questi ragionamenti venne fatto un accordo con ByteDance per il quale i dati degli utenti americani sarebbero rimasti su datacenter sul territorio americano e gestiti da una società americana: venne scelta una delle più note, Oracle. Questo problema teoricamente sarebbe dunque risolto, anche se ogni tanto qualcuno si alza e chiede: ma come facciamo a essere sicuri che comunque i nostri dati personali non finiscano a Pechino? Questo è il motivo per cui l’app è già bandita dagli smartphone di molti funzionari pubblici in tutto il mondo, Unione europea compresa, e negli Stati Uniti è vietata in alcune università (ma gli studenti la usano lo stesso cambiando rete wi-fi).
Il secondo rischio è il fatto di essere la app più scaricata e utilizzata del mondo; solo negli Stati Uniti, 170 milioni di persone la usano diverse ore al giorno, guardando video scelti da un algoritmo di cui non sappiamo nulla e che può, teoricamente, decidere di indottrinarci. Se ne è parlato molto a proposito di quello che sta accadendo a Gaza: la Cina, molti si sono chiesti, sta per caso favorendo una propaganda antisraeliana? Sono stati analizzati i post e la risposta è stata: no, semplicemente la stragrande maggioranza dei giovani in tutto il mondo in questo momento simpatizza per i palestinesi, basta farsi un giro su Instagram per averne conferma.
La paura di Tik Tok è come la paura di essere divorati dal mostro di Lochness e l’invasione degli alieni: due cose teoricamente possibili ma di cui non abbiamo alcuna certezza. Come del resto il fatto che TikTok venga davvero bannata è altamente improbabile: il disegno di legge adesso deve passare al Senato, dove qualcuno ha già fatto notare che nel testo della Camera c’è un formidabile errore, quando si nomina espressamente TikTok, lasciando intendere che si tratti di una legge “ad aziendam”; poi serve la controfirma del presidente e a quel punto scattano 6 mesi per la vendita, 6 mesi nei quali la questione finirà davanti a un tribunale per violazione del Primo Emendamento, quello sulla libertà di espressione, non dei cinesi, ma degli americani (finora i giudici americani si sono sempre espressi a favore di ByteDance).
Ultima considerazione: TikTok è stata bandita in Paesi che sono molto lontani dalla nostra idea di democrazia e per esempio non c’è in Cina. Come ha scritto James Surowiecki sull’Atlantic criticando il possibile divieto: “Non dobbiamo assomigliare alla Cina e non dobbiamo scordarci che siamo l’America”.
Fonte : Repubblica