“Io, ragazzo malato di anoressia a 18 anni. Ma troppe strutture accolgono solo donne”

Il mondo dei DCA – Disturbi del Comportamento Alimentare – è spesso vittima di una narrazione sbagliata, conseguenza il più delle volte di una scorretta informazione. Per questo (anche) i media svolgono un ruolo fondamentale nel raccontare storie. Come quella di Paride, 26 anni, malato di anoressia nervosa. Attraverso la non-profit Animenta, abbiamo avuto modo di metterci in contatto con lui, che ci ha parlato delle difficoltà incontrate negli anni. Spesso in quanto uomo. Ecco cosa ci ha raccontato.

Paride, come stai?

“Abbandonato a me stesso. Avere un aiuto è molto difficile, ho pile di referti che confermano la mia diagnosi ma il centro di salute mentale non autorizza il ricovero in una comunità specifica per DCA. Continuano a mettere in dubbio la mia diagnosi”.

Di che diagnosi si tratta?

“Anoressia nervosa”.

Quando è cominciato tutto?

“Quando avevo 18 anni (ora ne ha 26, ndr). Lì la mia condizione è stata portata all’attenzione dei clinici. Nonostante io mi ricordo che continuassi a negarlo”.

Perché?

“Principalmente mi vergognavo. Allora mi ricordo che la psicologa mi diede dei test psico-diagnostici e risposi in maniera falsa. A quel punto lei mi fece parlare con lo psichiatra specializzato in DCA e lui capì”.

I tuoi amici, la sua famiglia, come si sono comportati?

“Sono stati tutti molto comprensivi e non hanno mai messo in dubbio la mia malattia. Anche rispetto agli amici, ho avuto la fortuna di avere persone che mi conoscono che vanno al di là dell’aspetto fisico e della malattia. Le persone vicine ti comprendono, gli altri no. E i casi sono in aumento”.

Ti riferisci ai casi di DCA negli uomini?

“Sì. Forse anche perché ultimamente anche l’uomo viene spinto, dalla società occidentale, a una cura maggiore per l’aspetto fisico. Questo aspetto contribuisce”.

Pensi che ci sia uno ‘stereotipo di genere’?

“Sì, soprattutto da parte della generazione precedente alla mia. Per anoressia si pensa sempre a una ragazza pelle e ossa; la gente pensa che l’anoressia sia quello. Io invece sono un uomo, sono etero, eppure ne soffro. A me non è mai stato detto in modo diretto dai medici però mi pare assurdo che alcune strutture non accettino in cura i ragazzi. Ma non per condizioni cliniche incompatibili ma solo perché uomini. Mi è capitato già in una importante struttura di Milano, che non offre il MAC – cioè il day hospital – ai ragazzi”.

Cosa ti è capitato esattamente?

“Se vai lì, fai una prima visita per DCA. Se tu sei un ragazzo non vieni indirizzato al MAC che magari risponde alle tue esigenze. No, ti mandano direttamente in ricovero. Loro dicono che lo fanno per non far sentire i ragazzi a disagio, in quanto sarei l’unico uomo in reparto. Parlano di “problematiche femminili”, dicono che c’è ad esempio la danzaterapia. E quindi? Un uomo non può farlo? (Today ha avuto modo di ascoltare una telefonata tra Paride e una dottoressa di un noto centro del Nord, in cui il medico conferma di non poter accogliere ragazzi: “Non è una scelta, il problema è che abbiamo avuto sempre e solo femmine. Anche le attività sono principalmente rivolte a problemi di tipo femminile”, ndr)”.

Come si può combattere questo stereotipo?

“È molto difficile, specialmente per l’anoressia nervosa. Se andiamo a vedere altri disturbi di DCA – come il binge eating (disturbo da alimentazione incontrollata, ndr) – non penso ci sia così tanta differenza tra uomo e donna. L’ho visto in diverse strutture. Poi è vero che colpiscono molto le ragazze, ma non solo loro. (I dati su popolazioni cliniche in Italia, infatti, suggeriscono che gli uomini rappresentano circa il 10-15% dei casi di Bulimia Nervosa e il 5-10% di Anoressia Nervosa, scrive il sito di Animenta, organizzazione non profit che si occupa di DCA)”.

Torniamo alla tua storia. Quando hai chiesto aiuto?

“Mi è stato quasi imposto dalla mia famiglia. Non mi reggevo più in piedi. Ero arrivato a quel punto. Già una volta venni ricoverato per una polmonite e nel foglio di dimissioni scrissero ‘magrezza grave, probabilmente a causa di DCA’. Poi ho fatto un ricovero a Villa Garda (struttura leader per il trattamento dei DCA, ndr) e da lì ho ottenuto tantissima consapevolezza”.

Perché?

“Perché hanno un metodo davvero unico, è un reparto completamente aperto, non psichiatrico. Se sei in condizioni mediche stabili puoi anche uscire un’ora al giorno. Non vivi in una bolla come altrove, è come se diventassi terapeuta di te stesso. Ti danno strategie utili per affrontare il problema. ‘Cambia il comportamento per cambiare il tuo pensiero'”.

Tu cosa hai cambiato?

“Non era possibile restringere, quindi è stata molto dura. Non si scende a patti. Altrove ti danno il sondino, ti rimettono in piedi e poi ti dimettono. A Villa Garda con l’alimentazione per bocca raggiungi il normopeso in 5 mesi. Questo è l’obiettivo”.

E se non si vuole mangiare?

“Vieni dimesso, ma comunque ci sono degli incontri preparatori”.

Allora bisogna già essere abbastanza forti?

“Sì, infatti io prima ho fatto 30 sedute ambulatoriali con la specialista. Non capisco perché questo metodo non sia esteso. Questa è un’altra difficoltà: vai da una parte e ti dicono una cosa, da un’altra parte te ne dicono un’altra. Adottare metodi così differenti mette molta confusione, anche se magari può anche essere un bene questa trasversalità”.

Con gli studi come hai fatto?

“Li ho abbandonati”.

Che consiglio ti senti di dare a chi magari si trova in una situazione simile alla tua?

“Di chiedere aiuto il prima possibile. È vero che si può sempre uscire dall’anoressia. Una diagnosi precoce può essere davvero di aiuto per una remissione completa più facilmente. Non vergognatevi”.

Hai un sogno per il futuro?

“Non vedo un futuro. Volevo diventare videomaker. L’ho fatto per un periodo però circa 2 settimane fa sono stato costretto a vendere tutta l’attrezzatura perché la tecnologia diventa presto obsoleta e poi perché ora non ce la farei”.

Abbiamo rimandato la nostra telefonata di qualche minuto perché in attesa di una chiamata importante. Vuoi condividere con i lettori?

“Si tratta di una comunità in Umbria. Magari possono aiutarmi per una prima visita, ho anche scritto una bozza con tutti i referti. Mi sento lucido ma poi quando salgo sulla bilancia desidero solo che quel numero scenda. E la cosa che mi fa rabbia è che si viene presi in considerazione solo se il peso scende veramente tanto”.

E le altre strutture cosa fanno?

“Dicono: ‘Dovremmo conoscerti meglio”, “Aprire una nuova cartella”. Prendono tempo e poi alla fine non lo autorizzano. Stiamo pensando di agire per vie legali, ma è veramente assurdo tutto questo. Stiamo parlando di un diritto: la cura. Ma purtroppo alcuni medici, non specializzati in DCA, mettono in dubbio la mia diagnosi. E in questo caso la territorialità conta, solo loro possono darmi l’autorizzazione per iniziare un percorso”.

Per finire, come hai conosciuto la non-profit Animenta?

“Grazie ad Aurora Caporossi, la fondatrice. Il mio desiderio era quello di aiutare l’Associazione nelle grafiche, per ciò che è di mia competenza però purtroppo non sono mai riuscito a farlo per la mia condizione”.

Ti auguro di riuscirci in futuro.

“Grazie, spero di sì”.

Fonte : Today