Non è facile scrivere di Russia. La guerra più importante in Europa degli ultimi 30 anni genera un irrigidimento delle posizioni, fa crescere a dismisura i pregiudizi, e domandare se sia mai possibile trovare un equilibrio senza fare saltare i nervi a qualcuno. A distanza di quasi due anni dall’invasione dell’Ucraina la Russia tra il 15 e il 17 marzo si recherà in cabina elettorale per partecipare all’evento meno incerto di sempre: la vittoria, per la quinta volta, di Vladimir Putin alle presidenziali. La società russa ci arriva messa meglio di come immaginavano Stati Uniti, Europa e Nato nel febbraio 2022, recalcitrante quando si tratta di parlare di politica e convinta che le cose, al fronte, stiano volgendo sempre peggio per l’Ucraina, nonostante i frequenti attacchi delle truppe di Kyiv sul territorio russo, sia sulle navi che solcano il Mar Nero che nell’entroterra, nelle raffinerie di carburante.
L’ultima volta che sono stato in Russia è stato il 2019. A Kaliningrad, per la precisione. Una piccola enclave di Russia tra la Polonia e la Lituania, uno spicchio di terra: piatta, affacciata sul Baltico, dove tutti o quasi hanno un rapporto di confidenza o di lavoro col mare, o con l’esercito. È stato molto interessante. Un mondo che sembrava fermo a 20 o 30 fa, dal modo di vestire al modo di considerare normale l’idea di non andarsene mai. Là ho raccolto numerosi contatti che poi mi sono rimasti sull’agenda quando, due anni più tardi, durante la crisi del Covid, ho iniziato a frequentare l’Ucraina, e nonostante le tensioni, “l’operazione militare speciale”, come Cremlino ha ribattezzato l’invasione, sembrava ancora lontana.
Ho ripreso quei contatti, unendoli a quelli di altri russi che ho conosciuto in giro per l’Europa negli ultimi anni e ho inviato loro una serie di domande. Tutte più o meno uguali. Mi interessava sapere come si avvicinano alle elezioni, quale aria si respiri nelle loro città e quale sia, secondo loro, l’andamento della guerra. Ho garantito ai miei intervistati anonimato e zero moralismo. Speravo in una ventina di adesioni e ne ho ottenuta la metà. Un campione composta da una quota minoritaria di russi che parlano e scrivono in inglese senza bisogno di un traduttore, da professionisti espatriati dopo la guerra e persone che per altre ragioni si sono trasferite all’estero, e pertanto non rappresentativo della molto più complessa società russa né con alcuna finalità statistica. Resta tuttavia interessante raccogliere cosa emerge.
Una indagine senza pretese di scientificità
Le risposte difficilmente sono state ricche o articolate. La prima regola che si impara sulla politica russa è che se ne parla poco, e malvolentieri. Chi mi ha parlato di specifici candidati che non fossero il presidente Putin lo faceva perché li menzionavo io, altrimenti nemmeno li avrebbe considerati. C’è chi si è acceso parlando delle conseguenze concrete della guerra sul proprio lavoro o dei cambiamenti dell’economia. Chi si è mostrato molto più sereno di due anni fa, quando l’ipotesi di una chiamata alle armi generale dei russi non era così remota. Solo in due casi ho avvertito soddisfazione per la sorte subita dagli ucraini, perché quasi sempre prevaleva il rammarico. In un caso una persona mi ha apertamente detto di aver tifato per l’invasione anche prima che avvenisse.
La mancanza di entusiasmo era evidente. Qualcuno ha condiviso le domande con amici, partner, genitori. Ma il più delle volte mi anticipavano che tutti, nella loro cerchia di conoscenze, la pensavano più o meno allo stesso modo. E tutti ritengono che Putin abbia fondamentalmente ragione sulle origini della guerra e anche i più critici con lui menzionano il caos e la miseria di cui era preda la Russia anni Novanta, prima che l’attuale presidente salisse al potere.
Come va l’economia
Per il momento, il Fondo monetario internazionale prevede che la Russia godrà di una crescita del pil del 2,6% per quest’anno, significativamente superiore al Regno Unito (0,6%) e all’Unione europea (0,9%). Una ragione per questa relativa resilienza è il ruolo della Banca centrale russa. A questo si uniscono i controlli sui movimenti di capitale imposti dal governo che rendono quasi impossibile per gli esportatori russi e le numerose aziende straniere ancora operanti in Russia di portare denaro fuori dal paese. Le aziende russe, inoltre, hanno imparato a eludere le sanzioni, come il price cap sul petrolio, aggirato da espedienti fiscali. Molti paesi hanno guadagnato agendo da intermediari, come Turchia, Cina, Serbia, Bulgaria e India. In un’economia russa strettamente legata alla guerra, la dipendenza dalle risorse naturali e i prezzi energetici elevati generano entrate significative per il governo. Secondo lo scienziato sociale Peter Turchin, dell’Università del Connecticut, dal punto di vista macroeconomico la Russia ha buone possibilità di reggere. “Le pressioni esterne hanno contribuito a unire il Paese“, sostiene in un’intervista al Financial Times. L’equilibrio tra lavoratori e posti vacanti è “molto favorevole ai lavoratori” dopo l’invasione, quando molte persone sono fuggite dal paese o sono state arruolate.
Fonte : Wired