Race for Glory, Riccardo Scamarcio racconta la stagione più gloriosa del rally italiano

Tra biografia e impresa sportiva arriva nei cinema italiani giovedì 14 marzo, distribuito da Medusa, Race for Glory diretto da Stefano Mordini. Il film è una coproduzione Italia- Francia e racconta l’impresa che, nel 1983, portò al trionfo della sfavorita squadra italiana della Lancia contro la corazzata tedesca Audi nel campionato del mondo di rally, soffermandosi sulla figura dell’artefice di quel successo, il team manager Cesare Fiorio che più tardi passò a occuparsi della Ferrari in Formula 1. Una storia di motori e passioni (anche collettive), raccontate attraverso il punto di vista del visionario protagonista interpretato da Riccardo Scamarcio, che è anche il produttore del film. Volker Bruch interpreta invece il pilota di punta del team Lancia, Walter Rohl, Gianmaria Martini è Hannu Mikkola, il formidabile pilota da battere dell’Audi, Katie Clarkson-Hill interpreta Jane McCoy, Giorgio Montanini è il fondamentale capo meccanici Ennio,  e Daniel Brühl è Ronald Gumpert, il team manager Audi. In cameo, nella parte di suo nonno, l’Avvocato, spunta pure Lapo Elkann.

Race for Glory, la trama

Siamo nel 1983 e a Torino, al quartiere generale della Fiat, si discute su come far diventare la Lancia Delta un’ auto che possa battere l’imbattibile modello dell’Audi nel campionato del mondo di rally. Una competizione che a quell’epoca ha raggiunto enormi livelli di visibilità e in cui le maggiori case automobilistiche del mondo investono ingenti somme nella certezza che la vittoria di una gara o dell’intero torneo farà lievitare i loro fatturati aumentando a dismisura il numero di modelli venduti delle auto vincenti. L’auto su cui punta già da qualche anno la casa degli Agnelli è la Lancia Delta, che però non è ancora riuscita a battere la concorrenza tedesca dell’Audi che in gara usa già una 4×4. Nonostante questa posizione di partenza di netto svantaggio tecnologico ( due ruote motrici a fronte di quattro per affrontare ogni tipo di terreno), la squadra italiana, guidata dal team manager Cesare Fiorio, tra molti imprevisti e altrettante difficoltà, riuscirà non solo a insidiare lo strapotere Audi, ma addirittura a battere gli imbattibili.

Race for Glory, la corsa a superare il limite che non smetterà mai di attrarre l’essere umano

E’ un crescendo Race of Glory, in termini di coinvolgimento e interesse per lo spettatore. Parte lento, concentrato nel disegnare i tratti del suo protagonista, Cesare Fiorio, team manager geniale e uomo che ha portato una quantità enorme di allori a casa, non solo nel rally, da cui è partito pilota prima che manager, ma anche nella formula 1 e nella motonautica. Lo conosciamo subito come un tipo che ha le sue idee e vuole farsi ascoltare ai piani alti, anzi altissimi, dell’azienda per cui lavora, la Fiat. Un’azienda che, come tutte le altre case automobilistiche del mondo, in quell’ormai lontano 1983 guardava alle spettacolari gare di rally come alla più appetibile vetrina mondiale. Da questo nasce la condanna a vincere di Fiorio, che di per sé l’ossessione per la vittoria ce l’ha già bene inculcata dentro.

Fiorio non gioca mai per partecipare, ma scende in campo solo per vincere. Tutto il contrario del suo primo pilota, il già leggendario Walter Rohl che accetta di correre per la Lancia mettendo mille paletti perché, spiega, è ormai stanco di vincere e “solo i perdenti vogliono vincere sempre”. E infatti un altro elemento che spicca subito nella storia, presentata come un Davide contro Golia, rappresentata in Race of Glory, è la voglia di rivalsa, quella di Fiorio, che è uno di quegli uomini che gareggiano eternamente prima contro se stessi e poi contro il mondo, e poi anche quella degli italiani, che puntano ad accecare il gigante con la fame della loro ambizione e con una fionda fatta anche di piccole e grandi astuzie.

E’ il 1983 e la Lancia, punta di diamante della potenza industriale Fiat che si batte contro l’Audi, nella realtà delle cose non è esattamente il piccolo Davide contro il gigante Golia, tanto meno lo è l’Italia craxiana di fronte alla Germania (ovest), ma questa metafora, scelta per raccontare quella che, di fatto, fu soprattutto una grande impresa sportiva che divenne vanto e orgoglio per tutta la nazione, funziona molto bene come chiave narrativa creando le premesse per un’ascesa alla vetta faticosa e appassionante.

Anche se, il vero buon motivo per andare a vedere questo film rimane soprattutto la capacità di trasmettere l’adrenalina di una gara a massima velocità sullo sterrato, tra i boschi, sull’asfalto, tra impossibili curve a gomito, strapiombi da evitare, pezzi meccanici che possono cedere, incertezza e gusto di sfidare la morte, perché “la morte ha paura di chi la sfida”. Le scene di gara, con la strada con tutte le sue insidie che scorre davanti allo spettatore, teso come i muscoli del pilota che cerca di domare la sua auto, sono bellissime e veramente molto coinvolgenti. E, se il protagonista al centro del film rimane il team manager dalla debordante personalità, a regalare il maggior divertimento sono le imprese del pilota tedesco Walter Roth, stufo di vincere e incurante della competizione ma solo fino a che non si mette al volante e viene divorato anche lui, inevitabilmente, dall’irresistibile e umanissima voglia di avere la meglio sugli avversari. 

Voto: 7

Fonte : Today