Sei piatti che raccontano dolori ed emozioni legati al cibo: è l’iniziativa realizzata dal Gruppo KOS a partire dall’ascolto delle storie dei pazienti. Lo psichiatra Bandettini: “Il disturbo alimentare è solo un sintomo di una patologia legata a un profondo disagio”. Mentre l’età di esordio si è abbassata a 12 anni, i casi sono in crescita: “Si tratta della seconda causa di morte tra gli adolescenti”
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Una collezione di sei piatti illlustrati che “contengono” le emozioni di giovani pazienti e riportano frasi che raccontano il loro dolore legato ai disturbi alimentari. Si chiama “Disordini nascosti” ed è l’iniziativa realizzata dal Gruppo KOS e dei suoi centri psichiatrici accreditati con il Servizio sanitario nazionale a partire dall’ascolto delle storie dei pazienti da parte del suo team medico multidisciplinare (psichiatri, psicologi, dietisti, nutrizionisti, tecnici della riabilitazione psichiatrica). Lo scopo dell’iniziativa, presentata nel ristorante romano Pastificio San Lorenzo a pochi giorni dalla Giornata del Fiocchetto Lilla, è raccontare come le cause dei disturbi alimentari siano, a tutti gli effetti, da ricercare nella mente. Ogni piatto vuole infatti manifestare i pensieri patologici di chi soffre di un disturbo alimentare, facendo capire quanto il rapporto distorto con il cibo sia legato a un profondo disagio interiore.
La seconda causa di morte tra gli adolescenti
“Con questo progetto vogliamo spostare l’attenzione dal cibo al messaggio”, spiega a Sky TG24 Adolfo Bandettini di Poggio, Direttore Medico Psichiatria del Gruppo KOS. “Ogni piatto parla, dice delle cose. E noi abbiamo il compito di leggere il messaggio che c’è dietro”. Il disturbo alimentare infatti non è che “un mezzo per manifestare qualcosa che non va: è un sintomo. Ma quello che c’è dietro è una patologia”. Quella sui piatti, racconta lo psichiatra, “è la voce dei nostri pazienti: non rappresenta solo il cibo ma la paura del cibo”. La ragione dietro alla scelta di dare spazio alle voci dei pazienti e non dei clinici “è che tra loro possono riconoscersi, sentirsi meno soli, meno alieni”. Sedersi a tavola e leggere parole che racchiudono emozioni che conoscono benissimo.
Ricordarci che c’è chi soffre di fronte a un piatto
“Speriamo che questo tipo di iniziativa possa andare avanti, diffondersi, per portare chi mangia al ristorante a pensare che qualcuno nella sua stessa situazione, davanti a un piatto, invece sta male”. Sensibilizzare, osserva il professore, è fondamentale per far sentire meno solo chi soffre di disturbi alimentari, ma anche per rendere consapevoli tutti coloro che non ne sono toccati da vicino, ma dovrebbero imparare a riconoscere i campanelli di allarme. Perché esiste un sommerso di dimensioni enormi: ancora questo mondo si conosce troppo poco, ancora se ne parla troppo poco, nonostante i numeri, dopo la pandemia, siano diventati spaventosi. “Non ricordiamo abbastanza spesso”, spiega lo psichiatra, che “i disturbi alimentari sono la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali”. Ma mentre gli incidenti hanno una quota di imprevedibilità, “qui invece abbiamo possibilità di agire: prevenire e intervenire”.
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L’età di esordio è scesa a 12 anni
I casi sono in forte aumento: oggi si stimano 8/10 casi su 100mila abitanti sul territorio italiano. E mentre i numeri crescono, l’età di esordio si abbassa: “Mentre negli anni Duemila gli esordi della patologia si manifestavano fra i 16 e i 20 anni, oggi vediamo diagnosi a partire già dagli 8/10 anni e pazienti ricoverati a soli 12 anni”, quando i bambini e le bambine si trovano in uno dei periodi più delicati della loro crescita evolutiva. I danni che portano questo tipo di patologie, perché di vere patologie si tratta, “coinvolgono sia il corpo che la psiche”. Per questo l’approccio dalla cura dei disturbi alimentari “deve essere multidisciplinare”. È necessario che i percorsi coinvolgano psichiatri, pediatri, terapisti, dietisti, psicologi e educatori.
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Una patologia, non un comportamento
Il professore Bandettini insiste anche sul linguaggio: è preferibile chiamarli “disturbi dell’alimentazione” anziché “disturbi del comportamento alimentare”, perché togliere la parola “comportamento”, spiega, significa “eliminare il concetto di volontà di agire”. Lo psichiatra fa un paragone con la depressione, il cosiddetto “male oscuro”: “Quante volte, soprattutto anni fa, ci è capitato di dire a qualcuno datti da fare, alzati dal letto? Ma la persona depressa non riesce a farlo, perché si tratta di una patologia, non di un comportamento. Lo stesso ragionamento va applicato ai disturbi alimentari”, spiega. In questo caso nella semplificazione del nome, “c’è un’evoluzione”.
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Fonte : Sky Tg24