Onore a Sarri, emblema di quella coerenza sparita nel calcio

L’impresa eccezionale, a volte, è proprio essere normale. Perché dovrebbe rientrare nel regime ordinario delle cose fare un passo indietro, quando si intuisce che si è una parte, magari anche cospicua, del problema in essere. Eppure, nel calcio, un allenatore ancora sotto contratto che rimette il suo mandato nelle mani della società, allo scopo di dare una scossa a quella squadra che ha condotto da inizio anno, rappresenta quasi un “unicum”, che fa rumore. D’altronde, questo è il calcio, baby: dove la cultura degli alibi trova sempre terreno fertile ed è facile scaricare la colpa su arbitri, episodi negativi, giocatori, mercato insoddisfacente, numero di impegni e quanto altro ancora. Perché la storia dell’allenatore “che è sempre il primo responsabile” rimane un evergreen, quasi come il Festival di Sanremo o il pollo arrosto con le patate, però poi far passare come cause di un fallimento quelle che tale affermazione classificherebbe come semplici attenuanti, è questione di un battito di ciglia.

Ecco perché la decisione presa da Maurizio Sarri di interrompere con decorrenza immediata il suo rapporto con la Lazio, come conseguenza del preoccupante filotto di risultati negativi, è stata particolarmente fragorosa. E non si cada nella tentazione di dire che il buon Mau non si sia lamentato nei suoi due anni e mezzo abbondanti in biancoceleste, attingendo più volte dal libretto delle giustificazioni. Nel 2023 aveva puntato almeno un paio di volte il suo indice accusatore sugli arbitri, snocciolato l’alfabeto per sottolineare come in sede di mercato avesse richiesto A per ottenere alla fine C e D, rimarcato l’inadeguatezza della rosa per restare in corsa sui vari fronti in cui la Lazio era impegnata ed anche sottolineato come la sfortuna ci abbia messo lo zampino, zavorrando in parte il cammino della squadra.

Però, dopo la quarta sconfitta filata tra campionato e Champions, il “Comandante” ha deciso di passare la mano. Quel “ho visto che non mi seguite più” pronunciato negli spogliatoi e filtrato nella ridda di indiscrezioni trapelate, deve evidentemente aver trovato una sorta di riscontro nei volti della sua truppa, considerata la rapidità con cui poi ha effettivamente scelto di mettersi da parte. In maniera del tutto autonoma, come raramente capitato. E con un contratto rinnovato fino al 2025: nel mondo pallonaro che ad alti livelli viaggia spedito a braccetto con il business, trovare chi rinuncia a qualche milione di euro per “dare una scossa alla squadra”, finisce per collocarlo in una lista senza essere il primo e probabilmente nemmeno l’ultimo a fare questa scelta, ma di certo in scarsa compagnia.

E allora sì, onore a Sarri. Sicuramente responsabile, ma non certo il Colpevole con la c maiuscola di una situazione difficilmente pronosticabile all’inizio. E poco importa che il suo gesto abbia già scatenato i qualunquisti (“Di soldi ne ha già parecchi per campare bene”), i simil-complottisti (“Ha già firmato per un’altra squadra, mi sa la Fiorentina”) ed i bastian contrari, che sostengono che “non si abbandona una barca che rischia di affondare” salvo poi eventualmente attaccarlo qualora non si fosse messo da parte. Il “Mau” quel passo indietro l’ha fatto, ed applausi alla coerenza. Chi si congeda da un club per una manciata di spicci dopo averne baciato la maglia, dichiarato di averlo sempre tifato sin da bambino, o giuratogli amore eterno, magari si prenda un appunto.

Fonte : Today