Nel fine settimana il primo suono delle campane alla Ibrahim Al-Khalil, che verrà inaugurata con la prima messa entro Pasqua. Ad AsiaNews l’ingegnere che l’ha ideata e finanziata racconta di un luogo simbolo per “mostrare al mondo” la nostra “identità” cristiana invocando la pace anche su Gaza. L’auspicio che i pellegrini “possano riscoprire la loro terra”.
Milano (AsiaNews) – Nel fine settimana scorso il primo rintocco della campana. Ed entro le feste di Pasqua la celebrazione della prima messa, ad inaugurare il luogo di culto e l’intero edificio. Nel tentativo di rilanciare i pellegrinaggi nei luoghi che hanno fatto la storia delle religioni – e dell’umanità -, di incoraggiare il ritorno dei cristiani in Iraq e per ricordare la visita di papa Francesco ormai tre anni fa, sta per aprire i battenti a Ur dei caldei la Ibrahim Al-Khalil. La costruzione della “chiesa di Abramo”, origine comune di ebrei, cristiani e musulmani, sta per essere completata ed è parte di un complesso ben più ampio che sorge nella pianura desertica e contraddistinti dalla caratteristica forma piramidale. Ai primi di marzo risale l’installazione di una grande campana di argilla lucida nella torre, mentre tutto attorno gli operai erano impegnati a portare a termine gli ultimi lavori all’edificio e alla pulizia delle grandi vetrate. Il luogo di culto, oltre a simbolo del dialogo interreligioso, vuole essere anche un incoraggiamento alla comunità cristiana irachena decimata nell’ultimo ventennio tanto che, se in passato si contavano almeno 1,5 milioni di fedeli, oggi ne sono rimaste qualche centinaia di migliaia. “Ur è un luogo santo, per la nascita e del profeta – racconta ad AsiaNews Adour Ftouhi Boutros Katelma, promotore del progetto, dal suo ufficio a Baghdad – e perché ci unisce a Dio. Abramo è il padre di tutti i profeti, è l’origine comune di cristiani, ebrei e musulmani. Ed è anche il luogo in cui è nata una delle prime civiltà, dove sono sorte molte delle scienze come la matematica, la fisica, anche la musica. Da qui la scelta di edificare [dopo la visita del papa] una chiesa, perché il luogo di Abramo e perché volevamo costruire un edificio attraverso il quale mostrare al mondo la nostra identità”.
La chiesa di Abramo
Il 79 enne ingegnere Boutros Katelma, cristiano originario di Mosul ma che vive stabilmente a Baghdad, è anima e mente della chiesa, frutto della visita di papa Francesco in Iraq nel marzo 2021, primo viaggio internazionale dopo le chiusure imposte dalla pandemia di Covid-19. Una visita che, all’epoca, era apparsa un coraggioso messaggio di speranza per un mondo che provava a fatica a riaprirsi sebbene ancora in piena emergenza sanitaria globale, oltre a rappresentare un coraggioso invito sul cammino del dialogo interreligioso. E, per il Paese arabo, un sostegno al percorso di lenta rinascita dopo la guerra e le violenze etnico-confessionali innescate dall’invasione statunitense del 2003, ultima delle quali in ordine di tempo la drammatica ascesa nell’estate 2014 dello Stato islamico (SI, ex Isis) con il suo lascito di sangue, morti, violenze e distruzioni.
La “chiesa di Abramo” non è solo un luogo di culto, ma è al tempo stesso un centro religioso, sociale e culturale legato a doppio filo a Francesco e al suo messaggio sulla comune appartenenza dei fedeli al profeta delle tre grandi religioni monoteiste. E un passo ulteriore nel dialogo interreligioso dopo la firma del documento sulla “fratellanza” ad Abu Dhabi nel 2019 col grande imam di al-Azhar per l’islam sunnita e l’incontro, sempre in Iraq, con il grande ayatollah Ali al-Sistani massima autorità sciita del Paese. Il complesso presenta una forma di cerchio che “racchiude” la storia ed è rivolto a est; le tre parti che lo compongono simboleggiano la trinità, mentre si accede all’interno attraverso una grande scala simile ad una ziggurat secondo un modello ispirato alla trascendenza, all’elevazione e alla ricerca di purezza verso l’alto. Per la costruzione è stata usata una pietra di colore bianco, simbolo di purezza per rafforzare il messaggio di spiritualità.
In pellegrinaggio a Ur
La chiesa non intende solo servire la comunità cristiana locale, ma vuole anche attirare turisti da tutto il mondo, in particolare i pellegrini cristiani. Shamil al-Rumaidh, direttore delle Antichità della provincia di Dhi Qar, dove sorge l’antica città di Ur, sottolinea che “la visita del papa è stata di importanza storica” per rilanciare la conoscenza della regione. E questa chiesa si pone come una delle principali attrazioni turistiche dell’Iraq, anche perché sorge “vicini ai siti archeologici di Ur” e permette così di conoscere e scoprire il passato, oltre a pregare in un luogo di culto che richiama il presente, l’attualità, e il passaggio del pontefice. La struttura potrà disporre anche di una sala per incontri utile anch’essa finalizzata all’accoglienza, soprattutto dei pellegrini cristiani in visita nella terra di Abramo, e nasce grazie all’impegno personale dell’ingegnere caldeo che ha curato il progetto e messo a disposizione i fondi necessari per la sua realizzazione. “Il primo rintocco delle campane – racconta Adour Ftouhi Boutros Katelma – nel fine settimana scorso, un test per verificarne il buon funzionamento, è stato un momento davvero fantastico, emozionante, tanto da non riuscire nemmeno ad esprimere a parole quanto ero felice. Al tempo stesso ero anche molto orgoglioso per aver portato a termine l’opera”.
Da Ur a Gaza, pace e dialogo
Con la chiesa a Ur, racconta l’ingegnere caldeo, “volevamo ricordare che i cristiani sono originari dell’Iraq, fare in modo che possano tornare e scoprire la loro terra, il passato, le loro radici. Oggi l’Iraq è un Paese che si è quasi svuotato della componente cristiana, ma vi sono molte opportunità soprattutto in una prospettiva di impresa, di affari e di sviluppo, soprattutto per le infrastrutture perché molto è andato distrutto a causa della guerra. Qui si può costruire e si possono fare affari, mentre sotto il profilo sociale bisogna lavorare per la comprensione reciproca, questo è il tempo giusto per ricostruire”.
Una rinascita che si deve fondare sul dialogo, sulle relazioni fra persone, sulla ripresa del tessuto sociale che lega cristiani, musulmani e membri di altre minoranze e che trova un punto di partenza ideale nella visita del papa nel marzo di tre anni fa. “La venuta del pontefice – prosegue Adour Ftouhi Boutros Katelm – è stata di grande effetto e ha rappresentato il punto più alto della storia del cristianesimo in Iraq e di grande significato per tutta la regione mediorientale. Ancora oggi se ne parla nei media e a livello di società: a Baghdad, per esempio, parlando della Chiesa viene naturale e automatico associarla al pontefice e al suo viaggio in Iraq” con il suo messaggio di pace, di dialogo e incontro. Parole, conclude il cristiano iracheno, che sono “molto attuali per quanto sta avvenendo a Gaza, un conflitto che preoccupa perché è forte il timore che possa estendersi a tutta la regione, in un’ottica di escalation che tutti noi vorremmo scongiurare. Per questo la chiesa Ibrahim Al-Khalil diventa un messaggio di pace per tutte le religioni, per tutti i luoghi, anche la Striscia: basta conflitto, non vi è alcuna ragione di fare la guerra, ciascuno [palestinesi e israeliani] ha il diritto di vivere nella propria terra e di farlo in pace”.
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Fonte : Asia