Una ragione importante è che un sequestro di tale entità non è previsto dal diritto internazionale. Un modo legale poteva essere quello di passare attraverso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma purtroppo la Russia è un membro di quel consiglio, con potere di veto, così come lo è il suo partner, la Cina, e quindi questo non succederà. Un’altra strada passerebbe attraverso un accordo internazionale di pace, che imponga riparazioni alla Russia. Un po’ come il Trattato di Versailles che pose fine alla Prima guerra mondiale. Ma la guerra è lungi dal finire, e i soldi all’Ucraina – centinaia di miliardi per ricostruire – servono ora.
Il Repo Act sceglie una strada diversa: iscrivendo il potere di confiscare nella legge nazionale. Ma, per l’appunto, una mossa del genere segnalerebbe alla Cina e ad altri paesi che hanno relazioni scontrose con gli Stati Uniti che i loro asset delle banche centrali potrebbero essere confiscati, per esempio, se la Cina attaccasse Taiwan. Questi paesi potrebbero a questo punto fare di tutto per detenere riserve in centri bancari neutrali e in valute diverse dal dollaro e dall’euro. A lungo termine, questo potrebbe ridurre la rilevanza politica di queste monete.
Il rischio di una ritorsione
Dato che negli Stati Uniti è depositata una quota minore di miliardi russi rispetto all’Unione, Washington è meno esposta di Bruxelles a eventuali reazioni avverse. E non è un caso se, rispetto alle parole di Von Der Leyen che sembrano sparate da campagna elettorale, i leader europei siano decisamente più tiepidi all’idea. Non a caso è stato il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, a fare da pompiere, dichiarando che non ci sono davvero basi legali per la confisca degli asset come collaterale per un prestito con lo scopo di finanziare la ricostruzione dell’Ucraina dopo la guerra.
“Ciò che veramente preoccupa gli europei, oltre al rischio che le attività europee ancora presenti in Russia subiscano un analogo trattamento, è che la confisca possa pregiudicare l’attrattiva all’estero del sistema dell’euro”, scrive Francesco Lenzi sul Fatto Quotidiano. Il problema più immediato, però, di una scelta del genere è che apparirebbe ipocrita alla maggior parte del mondo. Il governo statunitense potrebbe essere messo di fronte, e non senza fondamento, alle se responsabilità per le invasioni non autorizzate in Afghanistan, Iraq e Libia. La confisca dei beni russi potrebbe influenzare anche il conflitto in corso, riducendo la possibilità di negoziati e spingendo la Russia a chiedere ulteriori concessioni territoriali all’Ucraina.
Sposare un’economia di guerra?
Cosa resta, dunque, all’Occidente? Forse fare quello che sta facendo la Russia, e trasformare la sua economia in un’economia di guerra. È quello che dice il deputato socialista con forti convinzioni pro-Nato Raphaël Glucksmann (ammirato per questo anche a destra) che chiede alla Francia e all’Europa in generale di fare il salto totale. La sua giustificazione? “Se si vuole evitare che i soldati francesi debbano morire, dobbiamo aiutare coloro che stanno morendo per noi e per loro stessi“.
Nel discorso di Glucksmann non c’è nemmeno il minimo accenno a prevedere una soluzione politica. Il che, ovviamente, vorrebbe dire rafforzare ancora di più la determinazione della Russia a vincere. Ma il dubbio resta un altro: Bruxelles possiede gli strumenti politici e finanziari per passare a un’economia di guerra? Procurarsi le risorse necessarie, reindirizzare le industrie, investire come se non ci fosse un domani nella produzione in barba ai dogmi del debito pubblico? Il piano presentato nelle scorse settimane dal commissario al Mercato interno, Thierry Breton, va in questa direzione. La Strategia industriale di difesa europea (European defence technological and industrial base) delinea un piano decennale per la disponibilità e il rifornimento tempestivo di prodotti per la difesa, con sovvenzioni, reti di impresa e quote di acquisto interne. Questo vuol dire fare ciò che non è stato fatto in due anni, in cui la Corea del Nord è riuscita a inviare più munizioni all’alleato russo di quanto non abbia fatto l’Europa con l’Ucraina.
Fonte : Wired