L’obiettivo del Digital Markets Act (DMA), la norma dell’Unione Europea che entrerà in vigore il 7 marzo, è chiaro: ridurre la concentrazione di potere in mano ai colossi tecnologici, eliminare gli abusi di posizione dominante e aprire le porte a una maggiore concorrenza. Con questo obiettivo, la UE ha prima di tutto individuato i cosiddetti “gatekeeper”: i guardiani che, spesso, sfruttano il loro potere per impedire l’ingresso di nuovi e più piccoli concorrenti.
Chi sono i gatekeeper? Il DMA considera tali le aziende tecnologiche con almeno 45 milioni di utenti attivi al mese (e 100mila utenti business all’anno) sul suolo europeo, una capitalizzazione di mercato di almeno 75 miliardi di euro e 7,5 miliardi di fatturato annuo. A soddisfare i requisiti sono Amazon, Apple, Alphabet (Google), Meta, Microsoft e infine Bytedance, l’azienda cinese proprietaria di TikTok e unica società non statunitense tra quelle individuate dalla UE. Questi colossi dovranno apportare cambiamenti a 22 dei servizi da loro offerti, nel settore dei motori di ricerca (Google Search), dei social network (Facebook, Instagram, TikTok), dell’ecommerce (Amazon e Google Shopping), dei browser (Safari e Chrome), della messaggistica (WhatsApp e Messenger) e altri ancora. Chi non rispetterà le nuove norme previste dall’Unione Europea dovrà pagare multe fino al 10% del fatturato annuo, che potranno salire al 20% in caso di recidiva.
Fin qui, le premesse di una norma a cui l’Unione Europea lavora da anni e che è già considerata una delle più severe in materia di concorrenza. Nella pratica, però, l’implementazione del DMA rischia di essere complessa non solo per i gatekeeper, ma anche per le realtà che dovrebbero beneficiare di questa nuova norma e perfino per gli utenti.
Andiamo con ordine e vediamo in quali settori, e con quali cambiamenti, si applica il Digital Markets Act.
Messaggistica
Le modifiche più evidenti per gli utenti saranno probabilmente nel settore della messaggistica. Avendo (per il momento) escluso iMessage dalle piattaforme che devono adempiere al DMA, la nuova legge si applica soltanto a Whatsapp e Messenger.
In particolare, il Digital Markets Act prevede che le piattaforme di messaggistica diventino interoperabili, ovvero che sia possibile inviare messaggi anche tra piattaforme rivali (per esempio, scrivendo a un account Telegram dalla app di WhatsApp), il tutto senza compromettere la crittografia end-to-end che protegge la privacy dei messaggi.
Per quanto possa sembrare una funzionalità bizzarra rispetto al modo in cui siamo abituati a utilizzare le piattaforme, l’interoperabilità non è niente di differente rispetto a quanto è sempre stato previsto dai client di email, che consentono di inviare, per esempio, una email da un account Gmail verso uno Hotmail.
Meta (proprietaria di WhatsApp e di Messenger) ha già iniziato ad attrezzarsi per offrire questa alternativa agli utenti, ma per sfruttarla è necessario che altre app (come appunto Telegram, Signal o Discord) accettino di collegarsi a WhatsApp o Messenger. Cosa tutt’altro che scontata.
Motori di ricerca ed e-commerce
In quanto monopolista di fatto del settore, Google è l’unico motore di ricerca a dover rispondere alle richieste del DMA. In particolare, Google non potrà più approfittare della sua posizione dominante per fornire un “vantaggio illecito” ai suoi servizi di shopping, dando invece la priorità ai siti e ai portali che confrontano le diverse offerte disponibili per un prodotto.
L’obiettivo è anche garantire maggiore visibilità alle piccole e medie imprese, riducendo la differenza con chi è in grado di assicurarsi, a pagamento, una posizione in cima alla pagina del motore di ricerca. Proprio in seguito all’entrata in vigore del DMA, Google ha deciso di eliminare Google Flights, il suo servizio di comparazione di voli.
La stessa logica si applica ad Amazon, che non potrà più favorire i propri prodotti rispetto a quelli venduti da terze parti indipendenti e che, per quanto invece riguarda la pubblicità, dovrà offrire report più dettagliati sulle tariffe delle inserzioni e sull’efficacia delle campagne pubblicitarie.
Browser (e non solo)
In questo caso, i servizi colpiti dal DMA sono due: Chrome e Safari. Per favorire la concorrenza, Android di Google e iOS di Apple non potranno più favorire i loro browser nativi, ma dovranno permettere all’utente di scegliere quale installare come predefinito in fase di avvio di un nuovo dispositivo. Questo sistema non si applica comunque solo ai browser. Nel caso di Android, per esempio, una simile scelta verrà offerta anche per il motore di ricerca che si intende usare come predefinito e per altri servizi (come Google Maps). L’obiettivo, in sintesi, è rendere più semplice per gli utenti scegliere tra servizi concorrenti invece di essere spronati a utilizzare quello di default.
App Store
Il DMA obbliga i gatekeeper a permettere l’installazione di app store di terze parti (il cosiddetto “sideloading”). Niente di nuovo per gli utenti Android, visto che sul sistema operativo di proprietà di Google tutto ciò è già previsto. Il sideloading rappresenta invece un’enorme novità per gli utenti Apple, che fino a oggi hanno sempre avuto accesso esclusivamente all’App Store ufficiale.
Apple però non sembra intenzionata ad avvantaggiare gli sviluppatori che decideranno di utilizzare anche gli app store alternativi. Tra le tante e complesse clausole economiche previste dal colosso di Cupertino, c’è per esempio quella che impone di pagare 50 centesimi di euro per ogni singolo download una volta superata la quota di un milione di scaricamenti in un anno. Per le applicazioni più importanti (che possono raggiungere anche decine o centinaia di milioni di download all’anno) si tratta di un esborso significativo. Alcuni sviluppatori hanno affermato che l’alternativa offerta da Apple è “economicamente senza senso”.
Apple ha inoltre più volte spiegato come, dal suo punto di vista, l’apertura ad app store concorrenti rischia di ridurre la sicurezza degli utenti.
Data sharing
Gli utenti di Meta e della suite di prodotti Google potranno adesso scegliere con maggiore facilità se permettere la condivisione di dati tra i vari servizi offerti dalla stessa azienda. Per esempio, sarà possibile separare il proprio account di Facebook da quello di Instagram o di Messenger. Allo stesso modo, sarà possibile scollegare il proprio account Chrome da quello relativo al motore di ricerca Google, di Maps o YouTube, in modo da limitare la condivisione di dati e quindi la targettizzazione degli annunci.
Questa decisione, però, porta con sé degli svantaggi. Per quanto riguarda Meta, scollegare gli account delle varie piattaforme della società di Mark Zuckerberg significa non poter più pubblicare i propri post o storie contemporaneamente su Facebook o Instagram. Se invece usate il Marketplace interno a Facebook, non potrete più sfruttare Messenger per comunicare con i venditori.
Per quanto riguarda Google, la società ha spiegato che non sarà più possibile, per esempio, ottenere suggerimenti su Maps in base alle ricerche fatte su Google Search. In generale, quindi, scegliere di scollegare i propri account garantirà una maggiore privacy ma minori funzionalità.
TikTok
Tra le misure adottate per il DMA, TikTok ha puntato a rafforzare la portabilità dei dati: gli utenti possono ora scaricare i propri post e richiedere una copia dei dati per scopi di accesso e portabilità. Inoltre, l’introduzione di una nuova API per la portabilità dei dati mira a facilitare il trasferimento delle informazioni a sviluppatori registrati, con particolare attenzione alla privacy e alla sicurezza. Per gli utenti business, TikTok ha migliorato l’accesso alle analisi e ai dati relativi alle performance. Nonostante l’adesione formale ai requisiti del DMA, la piattaforma di Bytedance ha annunciato che proseguirà le azioni legali per chiedere che sia riconsiderata la sua classificazione come gatekeeper.
Fonte : Repubblica