Un Altro Ferragosto recensione: un ritorno quasi fuori tempo massimo

Paolo Vierzì è tornato a Ventotene per il sequel di Ferie d’Agosto. Forse non tutti ricordano la brillante commedia del 1996, specie tra i più giovani: la pellicola, d’altro canto, era solo il quarto film da regista di Virzì, che aveva fatto il suo debutto sul grande schermo otto anni prima, con Paso Doble. Ferie d’Agosto era però una produzione geniale, una commedia drammatica che riprendeva il cliché delle vacanze in famiglia e che lo ibridava con lo scontro tra due nuclei profondamente diversi tra loro ma costretti a convivere uno accanto all’altro in due grandi case vacanza a Ventotene, l’isola al largo del Lazio dove negli anni Quaranta sono stati confinati antifascisti del calibro di Altiero Spinelli e Sandro Pertini.

I temi messi in gioco dal film erano tantissimi e risultano ancora oggi di forte attualità. Così di attualità che l’autore della pellicola originale ha deciso che Ferie d’Agosto meritava un seguito, in arrivo nelle sale italiane a partire dal 7 marzo. Ebbene sì: Un Altro Ferragosto è un vero e proprio sequel, che dalla produzione del 1996 riprende tantissimi elementi, a partire dallo sviluppo della trama, dagli attori che interpretano i personaggi principali (ovviamente invecchiati di 27 anni), dai temi forti e – ovviamente – dall’ambientazione.

Le ultime vacanze dei Molino e dei Mazzalupi

Le premesse di Un Altro Ferragosto sono dunque semplici. 27 anni dopo il loro primo incontro-scontro, i Molino e i Mazzalupi tornano sull’isola di Ventotene: non si tratta però di una rimpatriata, quanto più di un caso fortunato – o infausto, a seconda del punto di vista da cui la si vede.

Il ritorno dei Molino sull’isola dove hanno trascorso le vacanze del lontano 1996 dipende dal fatto che ormai Sandro, giornalista e intellettuale, sta per morire e desidera trascorrere un’ultima settimana in un luogo felice, circondato dalla sua famiglia e a contatto con i luoghi della Memoria dell’antifascismo, di cui ha portato avanti la memoria nel corso di tutta la sua vita. Per i Mazzalupi, invece, l’occasione è ben più lieta: Sabry Mazzalupi, figlia dell’ormai defunto capofamiglia Ruggero, sta per sposarsi con un uomo che è chiaramente più innamorato dei suoi follower su social che di lei. Accanto a queste figure ruota un turbine di personaggi che definire “secondari” sarebbe riduttivo: abbiamo infatti Marisa, interpretata da una straordinaria Sabrina Ferilli, che si è risposata con l’Ingegner Nardi Masciulli (un Christian De Sica che regala un’interpretazione al di sopra della media), ma anche Alberto Molino, diventato miliardario grazie a un’app di messaggistica usata dai trafficanti di droga e che fatica a farsi amare da un padre che pare insofferente nei suoi confronti. Poi c’è Cecilia, la moglie di Sandro, che cerca in ogni modo di farsi prendere in considerazione dal marito, il quale sembra non amarla più (o addirittura non averla mai amata). E ancora, al cast della pellicola si aggiungono figure del calibro di Emanuela Fanelli – che appare poco ma che ha un ruolo fondamentale sul finale del film – e di Ema Stokholma, il cui personaggio è forse uno dei pochi veramente ridotti al ruolo di mere comparse.

Impossibile approfondire qui tutti i rapporti famigliari e interpersonali interni ai Molino e ai Mazzalupi, a cui poi andrebbero aggiunte le dinamiche amorose mai sopite tra le due famiglie, che riaprono delle ferite nate quasi trent’anni fa e mai veramente ricucite. D’altro canto, Un Altro Ferragosto è, in questo senso, un film molto “orizzontale”: l’incedere della narrativa è limitato dalle ovvie costrizioni geografiche (tutta la pellicola è ambientata su Ventotene) e temporali (due-tre giorni dall’inizio alla fine del film, non di più), perciò la cinepresa si focalizza sull’evoluzione contemporanea dei rapporti tra figure apparentemente distanti tra loro, sull’affiorare e riaffiorare di sentimenti di ogni tipo, andando al di là del “semplice” amore per toccare anche i rapporti tra genitore e figlio, quelli tra fratello e sorella e quelli tra nonni e nipoti, in una ragnatela relazionale che si fa e si disfa nel tempo di un weekend.

La reciproca contaminazione tra i Molino e i Mazzalupi – due famiglie che più diverse non si può, per estrazione sociale e credo politico – è al centro del film e, anche se per il finale i due “clan” tornano quasi completamente separati, il grande racconto imbastito da Paolo Virzì è quello dell’interazione tra due mondi che solo all’apparenza si ripudiano tra loro considerandosi opposti, ma che alla fine condividono molto più di quanto non pensino. Quella che inizia come una riflessione quasi da “lotta di classe” tra intellettuali e ignoranti, tra Sinistra e Destra, tra un ceto decadente ma intriso di valori e uno in ascesa e che fonda tutta la sua narrativa sull’apparenza, si conclude come una sorta di “social catena” leopardiana contro una vita ingiusta, sbagliata, violenta e che non riserva alcun bene a chi cerca di barcamenarsi tra i suoi flutti al meglio delle proprie possibilità.

Parlare del presente, partendo dal passato

Un Altro Ferragosto, in effetti, colpisce proprio per la sua doppia faccia, o quantomeno per la rapida virata, nella seconda metà del film, da un tono da commedia scanzonata a uno tragico e disilluso, che non sfocia mai nel dramma ma che assume i caratteri acidi e disincantati tipici della commedia nera e della precedente produzione di Paolo Virzì.

Lo sbilanciamento tra le due metà della pellicola è voluto e porta a un finale che colpisce lo spettatore nell’anima, nonché a diversi momenti che suscitano intensa commozione: d’altro canto, un microcosmo così debordante di personaggi e situazioni diverse permette a chiunque di rivedere sé stesso, del tutto o in parte, nella traiettoria di questo o quel membro dei Molino o dei Mazzalupi. Per arrivare a un simile risultato, però, la sceneggiatura è dovuta scendere ad un compromesso narrativo, che rende la prima metà della pellicola molto più lenta e meno godibile della seconda, proprio perché riservata a presentare uno per uno tutti i membri delle due famiglie che si ritrovano a Ventotene. Dopo la prima ora, la produzione si riprende e si fa più intensa sia in termini di ritmo che per quanto riguarda il suo rapporto con lo spettatore: le situazioni messe in scena generano più facilmente la risata, l’indignazione, la compassione e la tensione rispetto a quanto non facessero in precedenza. Merito anche di una scrittura che riesce a tenere sempre il bandolo della matassa, senza mai perdersi e passando senza soluzione di continuità tra un personaggio e l’altro – impresa per niente facile da portare a termine, considerato che si parla di una quindicina di figure da ricordare.

Ciò su cui il film si perde, invece, è la divulgazione del messaggio etico e politico di Paolo Virzì, che con Un Altro Ferragosto si pone l’ambizioso obiettivo di ragionare sul mondo di oggi a partire da un ambiente protetto, isolato e dalla grande eredità storica come quello dell’isola di Ventotene. Il luogo non è stato scelto a caso, dal momento che i suoi legami con la storia dell’Italia fascista e degli albori dell’ideale europeo sono utilizzati come un pretesto per un’analisi politica dell’Italia di oggi, che assume i connotati di uno scontro destra-sinistra esemplificato dalle opposte idee dei Molino e dei Mazzalupi, che a loro volta rappresentano l’emblema dell’incomunicabilità reciproca tra le parti in cui il nostro Paese sembra essersi ormai scisso.

Ma Virzì non si fa problemi nemmeno a parlare – incidentalmente, sia chiaro – di drammi come il ritorno della guerra in Europa, la persistenza dell’odio nei confronti degli omosessuali e le tendenze all’arrampicata sociale esacerbate dai social network e dalla loro capacità di arricchire anche chi non ha nulla con cui partire.

Tutte tematiche profonde e di estrema attualità, che avrebbero meritato un film ciascuna per essere sviscerate. O che, quantomeno, non possono essere accentrate tutte in una sola pellicola da due ore senza fare importanti sacrifici: alla fine, infatti, i temi forti che l’autore vuole trasmettere vengono solo accennati e “lanciati” allo spettatore, senza dargli chiavi interpretative e lasciandolo in balìa del sentimento generato dalla rappresentazione, che però cambia a seconda di chi si trova di fronte allo schermo.

Ciò rende Un Altro Ferragosto meno incisivo di quanto avrebbe potuto essere se, anziché tentare di affrescare un quadro completo di un mondo sempre più complesso, l’autore si fosse concentrato su poche questioni forti, sviscerandole più approfonditamente e trasmettendo efficacemente la propria opinione nei loro confronti.

Fonte : Everyeye