Sette donne su dieci hanno ricevuto complimenti, allusioni od osservazioni sul proprio corpo che le hanno messe a disagio. Quasi sette donne su dieci hanno raccontato di vedere rallentato il proprio percorso di crescita a causa della maternità. Quasi sette donne su dieci riportano di aver sentito allusioni e commenti rispetto alle conseguenze negative della maternità per la loro azienda. E poi le molestie fisiche per quasi una su due. Un dato inquietante se si pensa che, rispetto all’anno precedente, sono aumentate dell’81 per cento e che, nell’80,9 per cento dei casi, la vittima non ne parla con nessuno in ufficio. In alcuni contesti le donne non si sentono neppure libere di vestirsi come vorrebbero. Il motivo? Evitare le solite volgarità dei colleghi. Il divario di genere sul lavoro peggiora con l’aumentare del ruolo di responsabilità della donna. In pratica, da donna, si sta peggio da manager e imprenditrice che non da impiegata.
È il quadro che emerge dalla “Survey Lei (Lavoro, equità e inclusione) 2024, sulle discriminazioni e la violenza sulle donne sul luogo di lavoro”: il report pubblicato dalla fondazione Libellula di Milano, che lavora con le aziende per prevenire la violenza di genere sul lavoro e rappresenta il primo sportello sul territorio che fornisce ascolto alle lavoratrici.
Al sondaggio hanno risposto 11.201 donne di ogni età (per l’80 per cento sono donne di età compresa fra i 30 e i 60 anni). Sono per il 68 per cento dipendenti a tempo pieno ma ci sono anche libere professioniste (10%) e part time (13%). Per la maggioranza sono impiegate, ma circa il 22% del campione sono donne manager e dirigenti. E provengono da ogni parte d’Italia anche se il 49% lavora e vive nel Nord ovest.
Le molestie aumentano dell’81%
L’eBook pubblicato il 5 marzo si intitola “Ti tocca”. E non è un caso. Il primo tema è ancora quello delle molestie verbali e fisiche. Quasi sette donne su dieci hanno ricevuto complimenti e allusioni, provando un senso di mortificazione o disagio e la fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 44 anni. Sempre sette donne su dieci hanno subito battute sessiste. Le più prese di mira sono quelle che non hanno un partner stabile. Inoltre il 43 per cento ha subito avance esplicite.
In generale però il 40 per cento delle donne ha subito almeno un contatto fisico indesiderato. Un dato inquietante se si pensa che, nello stesso sondaggio di Libellula del 2022, il dato era fermo al 22%. Di fatto nel 2023 le molestie sono aumentate dell’81%. Tutto in ambienti di lavoro in cui anche solo parlarne è impensabile. Altrimenti non si spiegherebbe come mai nell’80,9% dei casi le vittime non ne abbiano parlato con nessuno.
Il gender pay gap
È ancora molto viva anche la differenza di trattamento economico fra uomini e donne. Infatti quasi il 60 per cento di queste ultime ha detto di avere una retribuzione inferiore al collega uomo a parità di ruolo, responsabilità e anzianità di servizio. Una donna non può neppure essere leader per i colleghi uomini e infatti il 90% delle intervistate ha raccontato come, nelle posizioni apicali o di leadership, ci siano sempre e solo uomini. I settori dove questa idea è preminente sono quelli della comunicazione e del marketing. Ma anche il settore legale, la sanità e l’ambito del turismo e della ristorazione. Tutti posti dove, se sei uomo, vieni chiamato “dottore”, “avvocato” o “chef”, se sei donna, diventi “signorina” o “ragazza”.
In alcuni ambiti le lavoratrici hanno raccontato di non sentirsi neppure libere di vestirsi come vogliono. La gonna? Meglio un po’ più lunga. La maglietta? Magari la si copre con un maglione anche se non fa così freddo. Tutto per la paura che pervade una donna su due: quella di incorrere in commenti o attenzioni indesiderate sul proprio corpo. Nel mirino “le più giovani, chi non ha figli/e, chi non ha un/a partner stabile (o ce l’ha ma non convive) e tra chi dichiara di essere pansessuale o bisessuale”.
Un fenomeno ribattezzato da Treccani “power dressing”, cioè “il modo di abbigliarsi conforme a uno stile formale, di solito caratterizzato da costosi vestiti confezionati su misura, scelto per sottolineare l’importanza del proprio ruolo e del proprio potere nel mondo degli affari e della politica (…)”. Insomma la donna per essere presa sul serio non deve neppure somigliare a una donna.
Lo stigma della maternità
Poi c’è il paradosso di vivere in un Paese dove si parla molto di invertire il trend della denatalità. Peccato che sembrano esserci poche prospettive. Avere dei figli per le lavoratrici è garanzia di uno stigma sociale negli uffici. Sempre nella survey della fondazione Libellula si legge come quasi sette su dieci vedano rallentato il proprio percorso di crescita a causa della maternità. Il 75 per cento delle madri si sente “spesso” o “a volte” rallentato nel percorso di crescita, “con una percentuale maggiore se minore è l’età dei/delle figli/e (e maggiore il numero dei/delle figli/e)”. Il pregiudizio diventa misurabile quando sette donne su dieci confermano di aver sentito allusioni e commenti rispetto alle conseguenze negative della maternità per un’azienda. Insomma devi fare figli ma guai a pretendere poi di avere pari condizioni sul lavoro. In questo caso poi salta agli occhi come il fenomeno sia più diffuso nel Lazio e nel Veneto mentre le categorie professionali più penalizzate sono le dottoresse e le avvocate, in generale chi lavora nella sanità e in ambito legale.
Se una donna fa carriera anche peggio
E se qualcuno pensa che facendo carriera le cose migliorino si sbaglia. Basta guardare i dati: ogni forma di violenza sulle donne in ambito lavorativo, se analizzato sulla base del livello di inquadramento, aumenta con l’aumentare del ruolo di responsabilità. Qualche esempio. Le molestie fisiche, dal 40 per cento, balzano al 47 per cento per le dirigenti e al 54% per le imprenditrici. La media del campione che ha ricevuto richieste di natura sessuale non gradite è del 27%, che diventa il 45% per le imprenditrici, il 35 per cento per le dirigenti e il 31% per le manager. Addirittura il dato dei ricatti sessuali è più che raddoppiato: se la media del campione è il 7%, vola al 16% se si tiene conto solo delle imprenditrici.
Ma come si spiega? Secondo gli analisti di Libellula, “ci sono almeno due possibilità. Un’ipotesi è che siano maggiormente consapevoli. L’altra è che, occupando posizioni che storicamente erano appannaggio degli uomini, vengano “rimesse al loro posto di donna” tramite comportamenti che le depotenziano, le sminuiscono o le oggettificano”.
Queste forme di discriminazione rischiano di essere sottovalutate ma sono vere e proprie violenze, dalle quali si deve partire per contrastare ogni forma di sopraffazione sulle donne. Le discriminazioni sul lavoro sono l’humus sul quale si innestano violenze più gravi e questo è rappresentato alla perfezione dalla “Piramide della violenza di genere”. Di fronte a questa è chiaro come, sì, le discriminazioni sul lavoro si collochino alla base ma, proprio per questo, contribuiscono ad alimentare quella cultura che, in contesti più gravi, diventa maltrattamento, stupro e femminicidio. Quando si parla di violenza di genere, va dunque considerata l’intera piramide senza sottovalutare alcuna delle sue parti. Un invito che arriva direttamente dall’Organizzazione mondiale della sanità, che quella piramide l’ha ideata. E non è un caso che l’allarme arrivi a livello mondiale visto che la violenza di genere, secondo il ben noto report sempre dell’Oms (Who, 2013), è una piaga che affligge ancora un terzo circa delle donne a livello globale e riguarda tutte le fasce socio-culturali della popolazione.
Fonte : Today