È arrivato il momento di imparare a parlare di influencer e social network (anche per Fabio Fazio)

Davvero, ci ho provato. Ho provato a trovare uno spunto interessante nell’intervista che domenica 3 marzo Chiara Ferragni ha rilasciato a Fabio Fazio, a Che tempo che fa. Qualcosa che mi permettesse di riflettere sugli effetti dei social network e di un certo genere di celebrità o magari sull’uso che chi usa il web per promuovere la propria identità fa della sua storia personale.

Ma niente.

Purtroppo, c’è stato talmente poco nella mezz’ora scarsa di intervista, che è difficile anche solo immaginare un punto di partenza. Non c’è stata una vera rivelazione sui fatti di gossip personali, né un riposizionamento, né una vera analisi di quello che è successo con la storia del pandoro. Tutto molto edulcorato, quasi celebrativo. Uno pseudo-evento, nella felice definizione del ’62 di Daniel J. Boorstin, che nulla ha aggiunto a oltre un mese di narrazione sull’argomento. Chiara Ferragni ha continuato a parlare di fraintendimento, di errore in buona fede e non ha deciso di provare a ricalibrare la sua immagine: ha insistito su quella presunta autenticità che pare in effetti sempre più un costrutto evidente.

E in effetti, a ripensarci, forse la cosa più interessante della serata l’ha detta Fabio Fazio. Quando, ecumenicamente, ha ammesso una scarsa comprensione del fenomeno influencer. Ha detto, in sostanza, che la prima volta che ha intervistato Ferragni nel 2017 non aveva capito quasi nulla del tema; oggi, invece, un po’ meglio ma neanche tanto.

La domanda è: possiamo ancora accettarlo?

No, non oggi, non dopo anni. Non quando, secondo i dati di We Are Social, una persona in Italia trascorre in media quasi 2 ore al giorno sui social network. Per molto tempo, i media tradizionali hanno trattato le piattaforme sociale come una specie di fenomeno di costume, una nota di colore a margine della serietà del “mondo reale”, opposto a una supposta virtualità dei fenomeni digitali. E quindi via a generalizzazioni come “il popolo del web” o alla semplificazione eccessiva di processi sociali complessi, come l’emersione di un nuovo star system fatto di influencer e content creator che ha sempre più peso nel dibattito pubblico di qualunque paese del mondo.

In questa narrazione, tutto succede in modo incomprensibile. Tutto è improvviso, tutto è notizia: nasce una nuova stella, scoppia l’odio, il popolo del web si ribella. Manca, tragicamente, il contesto. Manca l’analisi di un’innovazione tecnologica che ha già cambiato radicalmente le abitudini di consumo e di fruizione di una parte consistente del nostro Paese. E che ha abilitato un fenomeno, quello dell’influencer marketing, che è nato intorno a un vuoto di rappresentanza, a un momento in cui le persone iniziavano a vivere le loro vite online e mancavano mediatori in grado di interpretare quel cambiamento.

È in quel vuoto, informativo e di rappresentanza, che ha trovato posto un certo genere di influencer, di cui Ferragni rappresenta probabilmente uno dei maggiori esponenti. Celebrità, attraverso la costruzione di una relazione sociale a una sola direzione – i ricercatori la chiamano parasociale – hanno costruito un’intimità digitale con gruppi sempre più ampi di persone. Hanno reso, in altre parole, la loro vita una commodity, una merce. E, a partire da questo investimento sociale hanno poi costruito un capitale economico, attraverso la conversione di quella relazione, tramite accordi con aziende o oggetti da vendere.

È in questa narrazione superficiale, sensazionalistica, che sono poi emersi, solo apparentemente all’improvviso (l’inchiesta di Domani è di un anno fa), i problemi, dei quali l’indagine per truffa aggravata a Chiara Ferragni è probabilmente la punta dell’iceberg. 

Ma alla base di questa punta c’è un mondo che dovremmo raccontare sempre di più, oltre i sensazionalismi e i luoghi comuni.

Un mondo che, forse, non possiamo più permetterci di non conoscere.

Fonte : Today