Selene Biffi torna a Kabul per insegnare alle donne a diventare imprenditrici. “Il mondo sopravvive grazie alla speranza”

“Fra una settimana torno a Kabul. Sono stata evacuata dopo la sua caduta ad agosto 2021. E dopo un anno sabbatico, ricomincio. Porto in Afghanistan due progetti unici per quel Paese: insegnerò alle donne a diventare imprenditrici tra le mura domestiche”.

Selene Biffi, 42 anni, più di 60 premi e riconoscimenti. Il suo nome è noto nel mondo e la sua storia di imprenditrice sociale in Afghanistan è stata raccontata più volte. Ma questo è un nuovo capitolo. Forse quello più difficile. Un nuovo inizio in un Paese complesso da sempre, ma che oggi sta vivendo quella che in gergo è definita una “Complex Emergency”, un’emergenza complessa.

“Il sistema bancario è collassato, il sistema sanitario non funziona. Una persona su due sopravvive grazie agli aiuti umanitari. Si tratta di 20 milioni di persone. Più della metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà, con meno di 1,25 dollari al giorno. È il terzo anno di siccità, si teme per il raccolto agricolo”.

La crisi è totale. Ci sono emergenze in ogni settore. Il Paese è in condizione estreme. “Ho preso un anno sabbatico per capire come tenere un faro acceso sull’Afghanistan e sono tornata a fare startup”.

Due i progetti che Selene ha lanciato in questo periodo. Ed entrambi riguardano le donne. Il primo è un centralino telefonico che fornisce formazione e supporto tecnico alle imprenditrici. “Un cellulare è accessibile all’80% delle donne mentre Internet ha una penetrazione che va dall’8 al 15%. E ti assicuro che questa è innovazione”. Il secondo è “una biblioteca degli attrezzi“, dove si può prendere in prestito un macchinario, per poi riportarlo come si farebbe con un libro.

“In un contesto estremo come l’Afghanistan, c’è una possibilità: che è quella di creare micro-imprese tra le mura domestiche. Si chiama imprenditoria di necessità ed è concessa dalle disposizioni attuali. In termini tecnici, queste donne vengono definite “necessity entrepreneurs”. Il 10% delle famiglie afghane – secondo i dati delle Nazioni Unite – si sostiene con questo mezzo”.

Facciamo un passo indietro. Imprenditrice sociale, Selene ha lanciato la sua prima startup a 22 anni con soli 150 euro. Arriva in Afghanistan come volontaria delle Nazioni Unite nel 2009 e pochi mesi dopo perde alcune colleghe in un attentato terroristico. Capisce che vuole fare la sua parte e cerca un modo diverso di fare le cose. Intanto finisce un master in Irlanda.

Poi nel 2013, torna a Kabul e apre la Qessa Academy, una scuola per cantastorie, dove i ragazzi possono recuperare le loro tradizioni e utilizzare lo storytelling per trovare lavoro e creare sviluppo a livello locale. La scuola resta aperta per 7 anni. Quando Kabul cade nell’agosto 2021, presa dai talebani, lei evacua famiglie afghane in Italia e con amici locali crea poi una rete informale a supporto di oltre 1.500 persone. Quando le donne le chiedono aiuto per poter lavorare, lei lancia She Works for Peace. A fine 2022 si dimette dal lavoro alle Nazioni Unite e prende un anno sabbatico. Impara la lingua Dari e inizia a cercare il partner, aziende, donatori per realizzare i progetti che aveva in mente. “Ho mandato mille email, ho chiesto a decine e decine di contatti. Ho partecipato a eventi e fatto pitch ovunque. Fino a che non ho trovato supporto”.

Il primo progetto nasce grazie al Fondo di Beneficenza di Intesa Sanpaolo. “Si chiama Bale Khanom, che significa: Pronto, signora. Rispondono sei donne afghane che ho formato personalmente, tre ore al giorno per molti mesi. Sono ragazze laureate o che prima studiavano all’università. Riceviamo centinaia di chiamate a settimana da tutto l’Afghanistan. Inaugurato a metà dicembre 2023, il centralino ha già ricevuto oltre 1.200 chiamate. Ci chiedono come trovare clienti, come calcolare i prezzi dei prodotti o avere accesso ai finanziamenti. Ci chiedono idee per iniziare un’attività e incoraggiamento. Sono donne di tutte le età. Da 15 a ai 60 anni”.

Il secondo progetto si chiama Abzar, è una biblioteca per gli attrezzi a Kabul, uno spazio fisico dove le donne possono prendere in prestito macchine per cucire, telai, arnesi, utensili per la produzione e quando hanno finito, li restituiscono. “Ho cominciato a lavorare a questa idea due anni fa, dopo aver visto un video in cui alcune donne afghane che avevano appena terminato un corso di cucito, dicevano: siamo talmente povere che dopo il corso che ci hanno offerto non abbiamo nemmeno i soldi per comprare gli aghi. Così appena ho trovato aiuto dal Rotary Club di Ferrara e il Club dell’area Estense, sono partita”

Selene è una delle 99 role model, Alumnae dell’Università Bocconi, inserite nel nuovissimo progetto “Changed by Women”: un libro, una raccolta fondi per nuove studentesse e un programma di mentoring, che sarà presentato in Bocconi a Milano l’8 marzo. L’intento è quello di ispirare le nuove generazioni, raccontando le storie di donne che hanno superato ostacoli e difficoltà per realizzare il loro sogno. Per l’impatto sociale del suo lavoro, Selene ha ricevuto oltre 60 riconoscimenti tra cui il Rolex Awards for Enterprise e Mother Teresa Memorial in India, premio già assegnato al Dalai Lama e a Malala.

Perché lo fai?

“È una domanda che mi sono fatta spesso recentemente. Lavoro con l’Afghanistan da 15 anni, ma negli ultimi due anni ho visto un cambio radicale da tutti i punti di vista. E non è solo per gli eventi storici che abbiamo visto in televisione. Vent’anni di presenza straniera nel paese, vent’anni di comunità internazionale che ha cercato in tanti modi di fare qualcosa, non hanno cambiato le cose. Quando ho aperto la scuola era il 2013: c’era un’alfabetizzazione intorno al 26%. Quando me ne sono andata nel 2022, a seconda dei dati che uno guardava, l’alfabetizzazione oscillava tra il 30 e il 35%. Erano stati versati miliardi di dollari. Quel grandissimo cambiamento in cui tutti credevamo non c’era stato. Ho provato una sensazione enorme di delusione. E al tempo stesso avevo davanti a me decine di donne che mi chiedevano: mi dai una mano? Mi aiuti? Non mi lascerai mica? Davanti ai loro occhi, ho sentito la necessità di fare qualcosa”.

Non hai paura? “C’è un proverbio in Afghanistan che dice, il mondo sopravvive grazie alla speranza. In inglese è ancora più bello: “The World Lives on Hope”. Il mondo vive sulla speranza. Ti assicuro che anche in un luogo come questo dove ci sono disperazione, difficoltà e sofferenza, c’è tanta speranza. E quello che fai oggi magari un giorno avrà risultati che non ti aspetti”.

“Ti racconto una storia. Quando ho aperto la scuola per cantastorie, sembrava una cosa bizzarra. In tanti venivano a visitarla e a parlare con gli studenti. Tutti facevano le stesse domande. Perché studi qui, cosa ti piace della scuola, come ti vedi una volta che hai finito. E gli studenti rispondevano sempre le stesse cose: abbiamo borse di studio, ci aiutano a imparare la nostra tradizione e a trovare un lavoro. E questi erano i nostri obiettivi. Un giorno però un ragazzo si alza e dice: “In un paese come l’Afghanistan, essere giovane non è un valore aggiunto. A nessuno interessa quello che pensiamo o ciò che abbiamo da dire. Ma dopo sei mesi passati in questa scuola, non ho più paura di alzarmi in piedi e dire quello che penso. Ho capito che anche io ho una voce e posso farla sentire”. Ecco, quella è stata una grande lezione di vita. Quando fai anche una piccola parte, i risultati possono andare oltre le aspettative. Oggi stiamo semplicemente offrendo una macchina da cucire a una donna. Magari fra un anno lei riuscirà a mandare i suoi bambini a scuola. E la sua vita sarà forse più semplice. C’è una frase del filosofo Ralph Waldo Emerson che dice: ‘Avrai successo nella vita solo quando avrai reso più semplice la vita di una persona nel mondo‘. Il verso di questa poesia mi ha sempre ispirato e continua a farlo…”

Fonte : Repubblica