Vi spiego come può finire la guerra tra Russia e Ucraina

Il 6 aprile del 2014 un gruppo di manifestanti occupava l’edificio dell’amministrazione regionale di Donetsk, nell’Ucraina orientale, issando la bandiera russa. Da quel momento il Donbass è finito sulle prime pagine di tutti i giornali ma, inizialmente, con interpretazioni molto diverse da quelle che verrebbero fornite oggi dalla maggior parte dei media.

“Il mondo era a Sochi, dove si disputavano le Olimpiadi invernali, pochi giorni prima dell’annessione della Crimea alla Federazione Russa”, racconta a Today.it Cristiano Tinazzi, giornalista specializzato in aree di crisi e autore del romanzo “Tutto questo dolore”, che partendo dalle vicende delle repubbliche separatiste, getta una luce nuova sugli eventi della guerra in Ucraina.

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Le immagini di un gruppo di persone con la bandiera della Russia di Putin in mano hanno fatto capire all’Europa che qualcosa stava succedendo. Ma la narrazione dei media “abbracciata da una parte non indifferente del giornalismo italiano, era che gli ucraini fossero estremisti di destra, criminali, violenti. Stessi termini e narrative usate dalla propaganda di Mosca oggi” spiega Tinazzi che era in Donbass mentre questa vulgata, che oggi tacceremmo senza tentennamenti di propaganda filorussa, dilagava anche in Italia.

L’inizio della guerra in Donbass

Territorio ricco di giacimenti carboniferi e di gas, ma anche di uranio, il Donbass ospita una consistente comunità russofona che ha costituito e tutt’ora costituisce per Putin il pretesto perfetto per avanzare rivendicazioni sull’area. Questa fascinazione per le popolazioni cosiddette russofone dell’Est dell’Ucraina ha edulcorato la narrazione alla nascita del conflitto tra Kiev e Mosca nel 2014.

“Questa rivolta nell’est dell’Ucraina era vista come una rivendicazione dei propri diritti. Come un movimento spontaneo e popolare” spiega Cristiano Tinazzi a Today.it.

C’è voluto del tempo prima che venisse debitamente collocata la mano del Cremlino nelle proteste contro il nuovo governo filo occidentale insediatosi a Kiev all’inizio del 2014. “Soprattutto i primi reportage che sono stati fatti sulle zone occupate – mi ricordo quello della trasmissione Rai ‘Nemo’, ad esempio, ma anche altri – erano molto incentrati sull’autodeterminazione di questa identità russofona che Kiev voleva negare” ricorda Tinazzi. La capitale ucraina, oggi oggetto del compatto sostegno occidentale, veniva vista in quei frangenti “se non come un regime, comunque come un governo che voleva negare le minoranze linguistiche ed etniche del Paese” ricorda Tinazzi.

“C’è stata una sottovalutazione da parte dell’Occidente di quanto stava accadendo in Donbass, non interessava a nessuno” continua Tinazzi. “Nel 2014 c’era lo Stato islamico in Iraq e in Siria, eravamo tutti focalizzati su altre problematiche”.

Perché il Donbass è così importante per Russia e Ucraina (e non solo) 

Il Donbass era stato il polmone industriale dell’Ucraina benché nel 2014 molti dei suoi siti produttivi fossero già stati chiusi. “Era un’area fondamentalmente depressa, con condizioni di vita non facili per la popolazione” ricorda Tinazzi. “Più andavi a Est più si avvertiva la distanza da Kiev e più aumentavano i rapporti commerciali con la Russia”.

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“Quando nel 2014 tutto è iniziato con la presa della Crimea permaneva ancora una sorta di mito dell’Unione Sovietica. Da parte delle persone più anziane c’era questa idealizzazione per cui tutti in passato avevano una casa, ad esempio”. “I russofili – prosegue Tinazzi – erano persone per lo pi  persone adulte o ormai anziane vittime di una autoipnosi sul passato. E molti erano immigrati originari di Paesi ex sovietici”.

E Mosca ha potuto contare proprio sull’equivoco della congruenza tra identità linguistica e russofilia: “Sono sempre state aree in cui si parlava più il russo che l’ucraino. Ancora oggi, in città come Kharkiv o Dnipro, si parla più il russo. Ma questo parlare il russo non identificava la popolazione come filo-russa. C’è sempre stata un po’ questa bugia da parte di Mosca per cui chiunque parlasse russo si sentisse automaticamente vicino alla Russia, in realtà non era così”.

In Donbass gli abitanti vogliono stare con Kiev o con Mosca?

Nel 2015, spiega Tinazzi, “non era chiaro cosa stesse succedendo. Ma già era in essere la repressione da parte delle autorità separatiste verso tutto quello che non era russo”. E le stesse forme d’arte occidentale venivano considerate degenerata. “A Donetsk c’era un bellissimo circolo di artisti che si chiamava Izolyatsia: aveva sede in un ex capannone industriale” racconta Tinazzi. “Quella che una volta era la ciminiera della fabbrica era stata trasformata in una scultura dalla forma di un enorme rossetto. Arte degenerata per i separatisti, che l’hanno fatta saltare in aria”.

centro artistico izolyastasia ucraina

Per la Russa erano le popolazioni russofone nei territori orientali dell’Ucraina ad essere oppressi da Kiev. Per gli ucraini, era invece la propria identità nazionale l’oggetto di una secolare negazione. “C’era una donna a Kharkhiv, la prima persona con la quale ho parlato quando sono arrivato nel 2015 in Ucraina nelle zone separatiste” disperata perché la sorella, che viveva a Mosca, si rifiutava di credere che la Russia stesse bombardando i civili in Ucraina. “Inizialmente non riuscivo a capire. Come è possibile non credere alla propria sorella ma alla televisione? Lì capisci quanto possa essere pervasiva e distruttiva del libero pensiero la macchina propagandistica della Russia”. 

Una guerra culturale

Uno dei temi più urgenti è quanto le opinioni pubbliche occidentali siano ancora disposte ad appoggiare l’Ucraina in questa guerra. Ma guardando all’altra parte, agli ucraini, potremmo chiederci se loro sentono di star combattendo una guerra che è anche europea. “‘Stiamo combattendo per voi’, mi è capitato di sentirmi dire più volte dai volontari arruolati nelle forze di difesa ufficiali” ci spiega Tinazzi. “Ricordo che una delle prime volte che ho sentito questa frase non capivo. Continuavano a parlare di Europa. Poi ho capito: per loro la guerra non è solo quella di difesa da un’aggressione”.

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“La vedono come una guerra tra due mondi, e la percezione dei Paesi baltici è la stessa. Un mondo che è legato all’Occidente, con tutti i suoi pregi e difetti, però un mondo in cui c’è libertà sostanzialmente, contro un mondo che vuole imporre una visione che è considerata arcaica. Noi abbiamo una percezione diversa probabilmente perché siamo a una certa distanza dal confine con la Russia”, spiega ancora Tinazzi.

Cosa cambia per l’Italia se l’Ucraina entra nell’Ue 

“C’è una questione, interessantissima, che riguarda i diritti della comunità Lgbtq+. In un Paese come l’Ucraina, non esattamente tra i primi in Europa nel sostegno a queste minoranze, questa guerra ha fatto cambiare totalmente visione, anche ai politici. Tant’è che attualmente è in piedi una discussione attorno all’istituzione delle coppie di fatto. Si chiede di cambiare la Costituzione – che identifica il matrimonio come unione tra uomo e donna – perché tanti omosessuali che sono nell’esercito spingono per cambiare una legge che, in caso di ferimento o di morte, non accorda al partner neanche il diritto di accedere in ospedale. Perciò, anche i politici che prima avevano una visione molto conservatrice – per contrasto rispetto alla situazione in Russia, che nega i diritti alla comunità Lgbtq+ – ora stanno spingendo per la concessione di maggiori diritti civili” spiega Tinazzi.

“Questo – prosegue Tinazzi – ci dà l’idea della presa di distanza dell’Ucraina dall’orbita di Mosca. Sono scelte che gli ucraini stanno compiendo sapendo di dover difendere non solo la propria identità nazionale, ma anche gli ideali di libertà europei”.

“Spesso mi viene chiesto cosa pensino di questa loro guerra gli europei. E a volte mi capita di dover dire bugie, perché mi vergogno delle cose che vengono dette”.

Paradossalmente, la guerra ha spinto ancora di più l’Ucraina nell’orbita delle democrazie occidentali mentre lo spazio di dialogo pare ridursi. “Io credo che l’Ucraina sia sì disposta ad aprire un tavolo di trattative con la Russia, mentre a Mosca non interessa assolutamente portare avanti un tavolo negoziale perché il Cremlino è giunto al punto di dover continuare la guerra per mantenere in piedi il regime” afferma Tinazzi. “Per questa guerra la Russia ha minato l’economia per il prossimo futuro”.

Per Zelensky la difficoltà sta nel capire se possa o meno permettersi di rinunciare ai territori persi dopo febbraio 2022. “Non credo che dall’opinione pubblica verrebbero accettati 2 anni di guerra con 30mila morti – che probabilmente in realtà sono più del doppio – per niente” spiega Tinazzi che paventa l’avvento di “forze più oltranziste e ultra-nazionaliste” se il presidente ucraino provasse a fare un accordo con Putin.

“Un altro problema che dovrà essere affrontato comunque finirà la guerra è come gestire il rapporto con le nuove generazioni cresciute nei territori occupati del Donetsk e Luhansk”, riflette Tinazzi. “Ci sono generazioni nate sotto la guerra e intanto il sistema educativo è cambiato: i russi hanno cambiato i libri di testo, che è quello che stanno cercando di fare a Mariupol. Cancellare la cultura ucraina e modificare il corso della storia lavorando sulla propaganda. Lì credo che servirebbe una forza di interposizione o comunque un lavoro molto lungo di riconciliazione”. 

Da ambo le parti, il conflitto è stato caricato di una valenza simbolica enorme che va ben oltre i singoli chilometri quadrati di terreno conquistati. “L’Europa deve farsi carico di questa responsabilità – argomenta Tinazzi – per quanto alcuni Paesi europei abbiano fatto molto, mi riferisco soprattutto ai Paesi del Nord Europa, l’Europa nel suo complesso deve garantire le forniture militari e quindi anche investire sulla produzione di armamenti”.

La guerra delle munizioni: chi sta aiutando di più l’Ucraina a difendersi dalla Russia

Una guerra che, aldilà della competizione Usa-Russia, è probabilmente molto più degli europei che degli Stati Uniti. “Ovviamente però – conclude Tinazzi – noi non siamo più abituati ad avere una guerra in Europa, e, in più, i governi sono diventati più responsabili nei confronti dell’opinione pubblica. Nel senso di una attenzione rivolta alla politica interna, che diventa l’ago della bilancia per poi lavorare sulla politica estera. Per cui diventa difficile avere una politica estera stabile di lunga prospettiva. Ma l’unica soluzione è che l’Europa si faccia carico con maggiore responsabilità della questione ucraina”.

Fonte : Today