Shōgun, alla lettera “generale”. Con questa parola in Giappone per secoli ci si è riferiti alla più alta carica dell’esercito, una carica che ha caratterizzato la storia e la società nipponica a partire dal XII secolo. Prima di allora il territorio era diviso in numerose unità governate dalle più potenti famiglie locali, spesso in lotta fra di loro, dotate di forti milizie su cui l’Imperatore non esercitava alcun controllo. Intorno al 1130, al termine di continui conflitti, una famiglia si impose sulle altre, ottenendo per un suo membro il titolo di Shogun, sorta di ministro plenipotenziario. Seguirono secoli di immobilità sociale. L’Imperatore, pur emblema di una discendenza divina, circondato da onori e sfarzo, continuava a contare ben poco nella pratica. Il Paese era di fatto diviso in circa 200 grandi feudi, governati ciascuno da un Daimyo che doveva assicurare obbedienza e rispetto allo Shōgun. Come nel nostro Medioevo, la carica era ereditaria, e furono 4 le dinastie ad avvicendarsi al vertice della società. E come nel nostro Medioevo i Daimyo vivevano in castelli intorno ai quali si distribuivano i quartieri dei Samurai, guerrieri e più tardi funzionari, gli artigiani e i commercianti: i borghi fortificati assicuravano protezione alle campagne circostanti. Proprio i contadini erano la base dell’economia, poiché la produzione agricola garantiva il sostentamento necessario alle classi dominanti e all’esercito, mentre artigiani e commercianti avevano un ruolo secondario, limitato al mercato locale. In questo modo l’economia non ebbe per lungo tempo alcuna possibilità di sviluppo, tanto più che dal 1639 fu vietato ogni commercio con il resto del mondo. Solo il porto di Nagasaki poteva importare dall’Olanda armi, tabacco, occhiali, ed esportare perle, gemme e oggetti preziosi. Le stesse potenze coloniali europee, che pure cominciavano a penetrare nel continente asiatico, non avevano interesse a violare l’isolamento del Giappone, perché il territorio era povero di risorse minerarie e inadatto, per via del clima, alle piantagioni.
I Tokugawa
Proprio in questo periodo, all’inizio del Seicento, si affermò la supremazia della famiglia Tokugawa. Nel 1603 l’Imperatore assegnò a Tokugawa Ieyasu il titolo di Shogun, difficilmente contendibile data la forza militare e la grande disponibilità di beni del “clan”, che controllava anche le miniere. Si aprì così una nuova fase storica. La civiltà feudale confluiva nell’epoca Tokugawa che durò per oltre 250 anni. E alla figura di Tokugawa Ieyasu è ispirato il romanzo del 1975 Shōgun, scritto da James Clavell, da cui è tratta l’omonima celebre serie televisiva Disney. L’ascesa al potere di Tokugawa Ieyasu pose fine a un periodo di guerre civili che culminarono nella battaglia di Sekigahara nel 1600, insanguinata dal taglio di decine di migliaia di teste. La vittoria di Tokugawa Ieyasu aprì un periodo caratterizzato dalla pace interna e dall’isolamento quasi totale del Paese. Il periodo storico è noto anche come shogunato di Edo, dal nome della cittadella che sarebbe poi diventata Tokyo e dove lo Shogun aveva la sua corte. L’epoca è definita da un controllo diretto o indiretto dello Shogun sul territorio: da una parte i tenryo, i possedimenti dello Shōgun, e dall’altra gli han, i possedimenti dei daimyo. Inoltre il controllo centrale si estendeva ai feudi delle “case collaterali”, imparentate con i Tokugawa e a quelli delle famiglie fedeli al fondatore della dinastia fin dall’inizio. I feudatari erano tenuti a vivere alla corte di Edo per una parte dell’anno e a lasciare lì i loro familiari quando si allontanavano per tornare alle loro terre: questo assicurava assoluta fedeltà e impediva eventuali defezioni. All’interno dei feudi i singoli villaggi dovevano versare al signore un tributo in natura. Del resto larga parte degli scambi avveniva usando come valuta il riso: il denaro era prerogativa dei mercanti, emarginati e visti con sospetto perché considerati non produttivi, secondo l’etica di Confucio. L’unità usata per valutare i possedimenti era il koku, corrispondente a circa 150 kg di riso, la quantità ritenuta sufficiente a nutrire una persona per un anno.
Un Medioevo durato fino a ieri
Lo splendido isolamento del Giappone, insieme a uno stile di vita cristallizzato in un mondo feudale, rimase tale fino alla seconda metà dell’Ottocento, ma venne sporadicamente incrinato da qualche ardimentoso avventuriero occidentale. Tra questi William Adams, navigatore che il 19 aprile 1600 fu, si ritiene, il primo Inglese sbarcato sulle coste dell’arcipelago: di cinque navi, partite due anni prima da Rotterdam al servizio della Compagnia delle Indie Olandesi, la sua fu l’unica ad arrivare a destinazione. Del resto la tempestosità del mar del Giappone era stata per secoli una barriera capace di proteggere il paese dai tentativi di espansione della Cina. A questa barriera si aggiungevano i pericoli delle traversate oceaniche, la minaccia delle epidemie, dei pirati e della fame nel rendere difficoltosa l’impresa di arrivare i dall’Europa in Giappone. Tra i pochi sopravvissuti della sua spedizione, Adams divenne consigliere di Tokugawa Ieyasu, accettato in primo luogo grazie alle sue conoscenze matematiche e alla sua abilità di costruttore di navi, diventando un “samurai straniero”. Grazie a lui fu concesso prima agli Olandesi e poi agli Inglesi di stabilire fattorie commerciali in Giappone: la sua figura si ammantò di leggenda e ispirò nel romanzo di James Clavell il personaggio di John Blackthorne, mentre su Tokugawa Ieyasu si basa la figura di Yoshi Toranaga.
Per arrivare a una vera apertura a un Occidente travagliato da rivalità tra potenze coloniali, bisogna aspettare il XIX secolo e l’arrivo di un ammiraglio americano, il Commodoro Perry che aprì una nuova era per il Giappone, sia nelle relazioni con l’esterno, sia nello sviluppo interno.
Fonte : Wired