AGI – La cappa di smog che aleggia sulle nostre città sta diventando più soffocante nelle periferie, dove nei quartieri meno verdi e ad alta densità di traffico e di abitanti over 65, i tassi di decessi attribuibili a biossido di azoto e polveri sottili arrivano fino al 50-60% in più rispetto alla media delle aree centrali.
Sotto accusa, mix smog e stili di vita peggiori, più comuni nei quartieri più periferici. Su questo tema e sui tanti studi che evidenziano il legame sempre più netto tra smog e tumori, malattie cardiovascolari, asma, depressione e alterazione dello sviluppo nel bambino anche in fase fetale, si stanno confrontando epidemiologi, pneumologi, esperti di valutazione e gestione della qualità dell’aria, rappresentanti di organizzazioni coinvolte nel ridurre l’impatto dello smog, tra cui rappresentanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, riuniti a Milano fino a oggi per la conferenza ‘RespiraMi: Recent Advances on Air Pollution and Health 2024’, co-organizzata dalla Fondazione Menarini, in collaborazione con Fondazione Irccs Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico, e dall’Imperial College di Londra, con il patrocinio dell’Associazione Italiana di Epidemiologia.
Con una popolazione di quasi 1,4 milioni di abitanti, Milano è la seconda città metropolitana d’Italia, storicamente afflitta dal problema dello smog sia per le numerose fonti di emissione che la accomunano alla pianura Padana (industriali, residenziali, da traffico e da allevamenti intensivi) che, aggiunte al ristagno dell’alta pressione e alle particolari condizioni orografiche, non favoriscono la dispersione degli inquinanti atmosferici.
Per valutare gli effetti sanitari a lungo termine sulla popolazione, l’Agenzia per la Tutela della Salute di Milano (Ats-Mi) ha condotto uno studio con cui ha stimato i livelli di concentrazione media degli inquinanti (NO2, PM10 e PM2.5) per l’anno 2019 con una risoluzione spaziale senza precedenti, pari a 25 metri quadrati. I dati sono stati poi incrociati con le informazioni sanitarie e anagrafiche georeferenziate già utilizzate per studi di popolazione in Ats-Mi.
“I risultati, recentemente pubblicati su Epidemiologia&Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, permettono di definire una vera e propria mappa dell’inquinamento – dichiara Sergio Harari, co-presidente del congresso, della Divisione di Malattie dell’Apparato Respiratorio e Divisione di Medicina Interna dell’Ospedale San Giuseppe MultiMedica Irccs e dell’Università di Milano – e dei suoi effetti, quartiere per quartiere e rivelano, per la prima volta, che biossido di azoto e polveri sottili hanno tassi di decesso per 100.000 abitanti che possono arrivare fino al 60% in più in alcune zone della periferia milanese rispetto al centro città. Il caso di Milano potrebbe avvicinarsi a quello che accade anche in altre grandi città italiane nelle aree periferiche che presentano elevati livelli di inquinamento atmosferico dovuti all’elevato numero di abitanti, a strade a intenso traffico veicolare come le tangenziali e al poco verde con ristagno d’aria. Il combinato disposto di smog e condizioni socio-economiche svantaggiate sovrapponibili alle aree periferiche, inducendo stili di vita peggiori come ad esempio più fumo e sedentarietà, produce un effetto moltiplicativo della mortalità da inquinamento nelle aree più lontane dal centro. Il fatto di essere più fragili ed essere esposti a inquinanti si traduce quindi in un danno maggiore”.
Gli oltre 1600 decessi all’anno per tutte le cause attribuibili al PM2.5 e gli oltre 1.300 decessi annui attribuibili al biossido di azoto a Milano non sono infatti distribuiti allo stesso modo sul territorio. “L’inquinamento ha effetti più grandi soprattutto nei quartieri periferici attraversati da strade molto trafficate, densamente abitati e dove c’è una maggior quantità di persone con oltre 65 anni, quindi più fragili di fronte agli effetti dello smog”, spiega Francesco Forastiere, co-presidente del congresso, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ift) e del Gruppo di ricerca ambientale dell’Imperial College London.
“Anche altri elementi relativi alle caratteristiche socio-economiche della popolazione possono contribuire a spiegare perché l’inquinamento colpisca più duramente in periferia rispetto al pieno centro. Comunque, il tasso di decessi risulta decisamente maggiore in alcune zone rispetto ad altre, meno urbanizzate e più verdi”, aggiunge.
“Per quanto riguarda l’esposizione al biossido di azoto, responsabile del 10% delle morti per cause naturali (130,3 su 100 mila abitanti), i tassi di decessi più alti si sono registrati in quartieri periferici come ad esempio Quarto Oggiaro con 158 morti su 100.000 abitanti e a Gallaratese con 170 su 100.000 abitanti, a fronte di valori attorno a 100 nel centro città – sottolinea Pier Mannuccio Mannucci, co-presidente del congresso, della Fondazione Irccs Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico e del Centro Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi di Milano – per quanto riguarda il PM2.5, responsabile del 13% delle morti per cause naturali (160 su 100 mila abitanti) e del 18% dei decessi per tumore del polmone, le conseguenze più pesanti si hanno in zone periferiche come Mecenate, Lorenteggio e Bande Nere dove i tassi di decesso superano i 200 per 100.000 abitanti, mentre in pieno centro i tassi di decessi si attestano attorno a 130 su 100.000 abitanti”, aggiunge.
Infine, per quanto riguarda il PM10, a cui si attribuisce il 4% delle morti per cause naturali (50 ogni 100 mila abitanti), a pagare il prezzo più caro sono, ad esempio, la zona di Niguarda, Bande Nere e Gallaratese a ovest e Buenos Aires in centro.
“L’esposizione cronica allo smog è dannosa per la salute in termini globali, con ripercussioni non soltanto sull’apparato respiratorio, ma anche su quello cardio-circolatorio e un incremento di infarti e ictus. L’inquinamento può avere inoltre conseguenze negative a livello cerebrale, causando ritardi cognitivi nell’infanzia e un impatto sullo sviluppo delle malattie neurodegenerative, come ad esempio il Parkinson”, precisano gli esperti.
Sul fronte delle soluzioni, le Ztl funzionano a “salvare” le zone centrali sono invece le zone a traffico limitato, che giocano un ruolo molto importante nel ridurre inquinanti e effetti deleteri sulla salute, come dimostra una review pubblicata sulla rivista ‘Lancet Public Health’ dall’Imperial College di Londra. La revisione ha passato in rassegna 16 studi condotti sulle Ztl in Germania, Giappone e Regno Unito, in cui si dimostra una chiara diminuzione dei problemi a carico dell’apparato cardiovascolare, con meno casi di ipertensione, ricoveri, morti per infarto e ictus. In particolare, uno studio tedesco su dati ospedalieri di 69 città con Ztl ha riscontrato un calo del 2-3% dei problemi cardiaci e del 7-12% degli ictus, con benefici (soprattutto per gli anziani) che hanno comportato un risparmio di 4,4 miliardi di euro per la sanità. Diversi studi hanno inoltre evidenziato effetti benefici per l’apparato respiratorio, anche se i dati sembrano meno consistenti. Il modello londinese, invece, è diverso.
“Un capitolo a parte lo merita la speciale Ztl di Londra, che alla conferenza RespiraMi sarà trattato da un punto di vista scientifico – commenta Harari – con un confronto tra scienziati e anche tra il sindaco di Milano Giuseppe Sala e Poppy Lyle, responsabile dell’inquinamento atmosferico della Greater London Authority. La scorsa estate, la capitale britannica ha deciso di estendere il divieto di circolazione dei veicoli più inquinanti a tutta l’area metropolitana (suscitando non poche polemiche). Il transito nella cosiddetta ULEZ (Ultra Low Emission Zone) è consentito solo ai veicoli Euro 4 se a benzina o Euro 6 se a Diesel. Chi non possiede una vettura in linea con questi standard può utilizzarla previo pagamento di un pedaggio”.
L’iniziativa del sindaco di Londra Sadiq Khan è stata elogiata da Maria Neira, direttrice del Dipartimento di sanità pubblica e ambiente dell’Oms, che in un’intervista sul British Medical Journal ha definito la ULEZ londinese come un “esempio per tutti i sindaci del mondo”. Come Londra, sono tante le città europee che stanno sperimentando nuovi modelli urbani per ridurre smog, rumore e l’effetto “isola di calore”, come riportato da uno studio pubblicato su Environment International.
La rassegna parte dalla città di Barcellona, che in virtù della sua rete stradale a griglia ha sviluppato un modello a superblocchi, cioe’ grandi isolati il cui perimetro può essere percorso dalle auto, mentre l’area all’interno viene restituita a residenti, pedoni e ciclisti. Secondo una stima dell’Istituto per la salute globale dell’Università Pompeu Fabra, questo modello implementato sull’intera città potrebbe evitare quasi 700 decessi all’anno, soprattutto grazie alla riduzione dello smog.
A Parigi si sperimenta invece “la città dei 15 minuti”, dove lavoro, scuola, negozi, intrattenimento, cultura, tempo libero e altre attività sono raggiungibili in 15 minuti a piedi o in bicicletta da casa. Non sono ancora state effettuate valutazioni degli effetti sulla salute, ma si prevedono notevoli benefici fisici e mentali dovuti all’aumento dell’attività fisica (a causa dei maggiori spostamenti a piedi e in bicicletta) e alla maggiore presenza di spazi verdi. Una riduzione del traffico motorizzato potrebbe portare inoltre a una riduzione dell’inquinamento atmosferico, del rumore e delle emissioni di CO2. Infine si stanno facendo largo le città e i quartieri senza auto, che permettono solo la circolazione di mezzi pubblici, pedoni e ciclisti.
A questo modello si ispira Amburgo, che prevede di eliminare le auto entro il 2034.
Fonte : Agi