I manganelli di Giorgia Meloni, ma se picchia il Pd va tutto bene

Proviamo a dare una lettura indipendente e sincera alla polemica in corso: sembra che Pd e 5Stelle vogliano farci credere che se alcuni manifestanti (mentre tentavano di forzare lo sbarramento della polizia) vengono manganellati durante il governo Meloni, questo è sintomo di un regime. Se invece vengono manganellati durante un governo di sinistra, va tutto bene. Eppure i casi non mancano. Ne ricordo uno tra i tanti. Il 10 maggio 2017 a Milano trenta studenti universitari (che quando è al potere, il centrosinistra chiama ”antagonisti”) vengono fermati, ovviamente a manganellate, durante la visita in città di Marco Minniti, allora ministro dell’Interno del Pd. Una situazione molto simile a quella di Firenze e Pisa. La scaramuccia rimarrà un piccolo fatto di cronaca. E non diventerà un melodramma politico. Né giornalistico. Il Partito democratico era infatti al governo.

L’alleanza populista tra Elly Schlein e Giuseppe Conte, servita a vincere le elezioni regionali in Sardegna, ha ora preso di mira il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi: lo accusano per le cariche agli studenti avvenute a Firenze e a Pisa venerdì 23 febbraio 2024, durante le manifestazioni in solidarietà alla Palestina. Immagini terribili di ragazzi e ragazze colpiti con i manganelli, che hanno provocato l’irrituale intervento – praticamente a urne aperte – del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il parallelo che l’opposizione vuole rappresentare tra Giorgia Meloni e Vladimir Putin, Xi Jinping, Benjamin Netanyahu o Benito Mussolini, a seconda dei punti di vista, è però ridicolo e pericoloso.

Quando ministro era Marco Minniti

La tensione e il clima di ostilità contro polizia e carabinieri vanno subito disinnescati. Anche perché in piazza, nelle prossime settimane, non scenderanno soltanto studenti, ma anche professionisti del caos e della violenza. E l’aggressione all’equipaggio della volante a Torino, che aveva appena fermato una persona da portare in questura, ne è il primo preoccupante esempio.

Il problema di Matteo Piantedosi (e di Giorgia Meloni) è semmai un altro: perché nessuno sbarramento di polizia, il 7 gennaio 2024 ad Acca Larentia a Roma, ha impedito che la commemorazione di due militanti uccisi da terroristi di estrema sinistra (mai condannati) si trasformasse in un raduno fascista? Ma anche in questo caso, la polemica non va a favore del Pd. Il 29 aprile 2017 (ministro dell’Interno sempre Minniti, nel governo di Paolo Gentiloni) mille militanti di estrema destra marciano e si implotonano al Campo X del cimitero Maggiore di Milano, per commemorare i caduti della Repubblica di Salò. Mille teste rasate. Succede ogni anno. Anche nel 2015, con ministro dell’Interno Angelino Alfano, nel governo Pd di Matteo Renzi.

I poliziotti a processo pagano di tasca propria

È vero che con i governi di centrodestra, gli agenti sul campo possono sentirsi le spalle coperte. Come si disse dopo la tragedia del G8 a Genova nel 2001: un manifestante ucciso, centinaia di feriti anche gravi da entrambe le parti, la Costituzione violata per tre giorni, decine di ragazzi torturati dopo l’arresto e le condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo (anche se i vertici della polizia in carica erano stati nominati dal precedente governo di sinistra). Cosa pensare allora?

L’ordine pubblico è la bestia nera di ogni funzionario di polizia: il confine sottile tra la carriera e la galera. Non tutti sono all’altezza. La gestione della piazza comincia ore prima della manifestazione. Con la mediazione e la parola. Erano le armi di un grande maestro dei cortei a Milano, il prefetto Paolo Scarpis, scomparso nel 2022. Individuava le facce più dialoganti nello schieramento opposto. Le avvicinava offrendo prima di tutto una sigaretta. ”Cosa volete fare?”, era la domanda con la sua voce calma. Cercava di stabilire a priori percorsi e limiti. Perfino la scenografia della protesta. E anche il punto di non ritorno: oltre il quale, nel caso di mancato rispetto degli accordi, Scarpis diventava il funzionario di polizia e ordinava la carica.

Ma la buona riuscita di una manifestazione dipende anche dalla lealtà di chi protesta. E oggi un corteo spontaneo diventa imprevedibile. Le convocazioni avvengono sui social. Ci si dimentica perfino di dare il preavviso alle autorità. Non esiste una gerarchia, tutti decidono tutto. Anche di provare a sfondare il cordone di poliziotti schierati con scudi e manganelli. Magari cercando l’incidente. Come è accaduto a Firenze e a Pisa, oppure davanti alla Rai a Napoli qualche giorno prima. Una manifestazione civile (e intelligente) rispetta le distanze di sicurezza.

Le indagini della magistratura toscana verificheranno se gli agenti hanno commesso abusi. Ma va anche ricordato che, in caso di processo, i funzionari di polizia pagano di tasca propria: le spese legali e magari il pignoramento della propria casa in caso di condanna. Lo Stato non li protegge. Come è accaduto per i tre morti in piazza San Carlo a Torino nel 2017, provocati non dalla polizia ma da quattro criminali che avevano spruzzato spray urticante in mezzo alla folla. Poi, se qualcuno sputa loro addosso, ci sarà una deputata regionale del Movimento 5Stelle che dirà che gli sputi ”se li sono anche meritati”. Ma per Schlein e Conte il problema è solo il ministro Piantedosi.

Leggi le altre opinioni su Today.it

Fonte : Today