Le autorità vogliono sfrattare la comunità che vive sul lago Ta Mok, il più grande della capitale cambogiana, per far posto a un grattacielo residenziale. Ci sono stati scontri con le forze dell’ordine nel tentativo di bloccare le ruspe. Sono centinaia di migliaia in Cambogia i poveri che hanno subito uno sfratto negli ultimi anni per liberare aree per grandi progetti immobiliari.
Phnom Penh (AsiaNews/Agenzie) – Sono 200 le famiglie che, nella zona vicino al lago Ta Mok nel distretto Preaek Phnov della capitale Phnom Penh, da martedì sono immerse nel fango per “presidiare” le loro case e le loro terre coltivate che stanno per essere espropriate dalle autorità locali. I residenti si sono anche scontrati con le forze dell’ordine nel tentativo di bloccare i macchinari portati da una ditta costruttrice per demolire le loro case per far posto a un grattacielo residenziale. Le famiglie chiedono alle autorità di riservare almeno quattro ettari di terreno dove possano continuare a vivere.
“Non posso stare senza casa mia e la mia terra! Qui inoltre coltivo il riso che poi vendo, ma ora le autorità dicono che ho occupato la terra illegalmente e che me la confischeranno”, ha dichiarato a Radio Free Asia una donna di nome Kong Toeur immersa nell’acqua fangosa fino alla cintola per bloccare le ruspe. Che aggiunge: “Tutti devono conoscere questo dolore che stanno vivendo anche i nostri bambini perché questa è la cosiddetta ‘legge’ della Cambogia”. Il land grabbing – così come le espulsioni forzate – è un problema tanto grave quanto comune in Cambogia, dove migliaia di famiglie da anni vengono cacciate dalle campagne, dalle aree costiere o – come in quest’ultimo caso – dalle aree urbane a ridosso della capitale per fare spazio a progetti immobiliari, estrattivi o agricoli. Secondo la Lega per i diritti umani cambogiana, quando le comunità protestano contro gli espropri, le autorità e le aziende rispondono con minacce e intimidazioni.
Oggi il Paese, tra i più poveri del Sud-Est asiatico conta 16 milioni di abitanti, ma molte dispute sui diritti delle terre e annessi “sfratti di Stato” risalgono agli anni Settanta, quando il regime dei Khmer rossi distrusse i registri catastali. Tra il 2000 e il 2014 circa 770mila cambogiani, più del 6 per cento della popolazione, sono stati vittime di espropri, secondo le accuse presentate dagli avvocati specializzati in diritti umani presso la corte penale internazionale (Icc) dell’Aja. E ancora nel 2014 il progetto di riempimento del lago Boeung Kak nei sobborghi di Phnom Penh – tra i più grandi progetti immobiliari del Paese con un’area interessata di 133 ettari – ha previsto lo sgombero di oltre 4mila famiglie che abitavano nella zona, molte in case su palafitte.
Dall’inizio della settimana anche Tim Ouk, un altro abitante del distretto di Preaek Phnov ha ricordato come lui e gli altri abitanti non abbiano fatto nulla di male e non si meritano lo sfratto: “Le autorità devono impedire che tutti i macchinari distruggano le nostre case”. Ma sono le stesse autorità ad aver avviato le pratiche per questa operazione immobiliare e a cercare terreni su cui costruire condomini e centri commerciali che portano molti introiti nelle casse pubbliche. In questo caso, a rimetterci, oltre alle famiglie di residenti sono i pescatori e i venditori di cibo del lago Ta Mok, il più grande della capitale, e che oggi conta una superficie totale di oltre 3.240 ettari (circa 8.000 acri). Ma centinaia di ettari dello stesso bacino negli ultimi anni sono già stati “interrati” per costruire diversi progetti residenziali e commerciali.
Fonte : Asia