L’Egitto sta costruendo un muro alto cinque metri attorno al confine con la Striscia di Gaza, ma il governo del Cairo non ha ancora commentato o annunciato pubblicamente la cosa. Secondo gli osservatori dovrebbe servire a bloccare un’eventuale fuga di massa dei palestinesi verso il vicino paese arabo, nel caso Israele dovesse realmente invadere via terra la città di Rafah, dove si trovano quasi 2 milioni di sfollati a causa dell’offensiva israeliana a Gaza.
La scoperta del muro
Nel totale silenzio delle autorità egiziane, è stata l’organizzazione umanitaria Sinai foundation for human rights (Sfhr) a dare la notizia della costruzione del muro, pubblicando su X foto e video delle barriere e degli operai al lavoro con macchinari pesanti lungo il confine egiziano con Gaza. Secondo la Sfhr, l’area recintata sarebbe di circa 20 chilometri quadrati e potrebbe essere usata come nuovo campo profughi per accogliere i palestinesi in caso di un esodo di massa.
In questo modo, l’Egitto non dovrebbe gestire una vera e propria migrazione di oltre un milione di persone all’interno dei suoi territori e, allo stesso tempo, Israele non potrebbe avere accesso al campo, o bombardarlo, perché all’interno dei confini egiziani. Tuttavia, né le immagini pubblicate da Sfhr, né quelle satellitari pubblicate da Associated Press e Business Insider mostrano la creazione di reali infrastrutture di accoglienza, come collegamenti idrici o altro, ma solo una lunga linea di mura alte cinque metri.
La posizione dell’Egitto
Il regime di Abdel Fattah al-Sisi ha sottolineato più volte che l’Egitto non si farà carico di accogliere i palestinesi in fuga, nel caso Israele dovesse completare la sua occupazione di Gaza, invadendo anche Rafah. Il piano di Tel Aviv è per ora fermo, nonostante continuino i bombardamenti sulla città, in attesa dei risultati dei negoziati che si stanno svolgendo in Qatar per arrivare a un cessate il fuoco, e a uno scambio di prigionieri, e anche per la minaccia egiziana di stracciare il trattato di pace siglato con Israele tra il 1978 e il 79, nel caso Rafah dovesse venire invasa.
Nel frattempo, come riporta Philippe Lazzarini, capo dell’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), a Gaza sta arrivando la metà dei già insufficienti aiuti umanitari decurtati da Israele dall’inizio dell’invasione. Come riporta la Cnn, la condizioni di vita dei palestinesi sono più che drammatiche e insostenibili, la mancanza di medicine sta portando alla diffusione di malattie e le condizioni precarie della popolazione stanno costringendo adulti e minori a nutrirsi di fango, erba e bere acqua sporca che aggrava le loro condizioni di salute.
Fonte : Wired