Proteste contro le dighe cinesi in Tibet: Pechino procede con i progetti

I monaci tibetani scesi in piazza contro le autorità cinesi sono stati arrestati e maltrattati durante la detenzione. Secondo il piano di costruzione della centrale idroelettrica verranno sommersi due villaggi e sei monasteri, ragione per cui Pechino ha inviato un ordine di trasferimento alla popolazione locale a cui i residenti si oppongono.

Dharamsala (AsiaNews) – La polizia cinese ha iniziato gli interrogatori dei tibetani arrestati nel corso del weekend per aver protestato contro la costruzione di una diga nella contea di Dege, nella provincia cinese del Sichuan al confine con il Tibet. I detenuti – sia monaci che residenti locali – sono stati “schiaffeggiati e picchiati duramente ogni volta che si rifiutavano di rispondere a domande importanti”, ha detto a Radio Free Asia (RFA) una fonte anonima. “Molti hanno dovuto essere portati in ospedale” e altri “sono svenuti a causa della mancanza di cibo e alle temperature gelide”. I prigionieri (che secondo l’agenzia stampa sarebbero più di 1.000) sono trattenuti in diversi centri di detenzione, hanno continuato le fonti anonime. Nel frattempo, con la reintroduzioni delle misure già utilizzate durante la pandemia da covid-19, è stato vietato alla popolazione di abbandonare le proprie abitazioni. 

I monaci e i residenti locali hanno iniziato a protestare pacificamente il 14 febbraio, dopo aver ricevuto da Pechino un ordine di trasferimento forzato dovuto alla costruzione della centrale idroelettrica di Gangtuo (in cinese) o Kamtok (in tibetano), che entrerà in funzione nel 2026. Affinché il progetto sia ultimato, i villaggi di Upper Wonto e Shipa, che ospitano circa 2mila tibetani, e sei monasteri (di cui tre sorgono nella contea di Dege e altri tre nella municipalità di Chamdo) devono essere demoliti, altrimenti verranno sommersi dalle acque.

Diversi video circolati online mostrano i monaci prostrarsi davanti alle autorità cinesi (un gesto che i tibetani considerano “terribile”), chiedendo di rivedere la decisione e fermare la demolizione dei luoghi di culto. In particolare, i monasteri di Wonto (al cui interno si trovano preziose pareti dipinte risalenti al XIII secolo) e di Yena, i più vicini al sito di costruzione, ospitano circa 300 monaci e hanno un importante valore religioso e culturale per i tibetani del luogo.

Pechino non sembra però intenzionata a fermare il progetto. La centrale idroelettrica di Gangtuo/Kamtok, da 2.240 megawatt, sorge lungo un tratto superiore del fiume Yangtze (chiamato Drichu in tibetano e Jinsha in cinese), e fa a sua volta parte di un piano più ampio approvato dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme, che ha previsto la costruzione di decine di stazioni idroelettriche tra le più grandi al mondo nell’area protetta dei Tre Fiumi Paralleli, lo Yangtze, il Mekong e il Salween, che scorrono tra il Sichuan, lo Yunnan e il Tibet, dove hanno anche la loro origine. L’area, da tempo presa di mira dalla Cina per la produzione di energia pulita, è però anche un riserva naturale tutelata dall’UNESCO. Secondo i gruppi per la difesa del Tibet, Pechino ha approvato la costruzione delle dighe inviando all’agenzia dell’Onu informazioni parziali riguardo i possibili danni ambientali.

Tuttavia, i reclami della popolazione locale o degli attivisti ambientali sembrano cadere nel vuoto: a inizio dicembre la Cina aveva annunciato di aver completato per il 50% la costruzione della diga di Yebatan, poco più a sud rispetto a quella di Gangtuo. In base alle dichiarazioni del governo cinese, la centrale, in cui Pechino ha investito oltre 33 miliardi di yuan (4,6 miliardi di dollari), sarà operativa entro la fine del 2025 e servirà allo sviluppo sociale ed economico della regione.

Fonte : Asia