Gli allevamenti intensivi sono una delle principali cause di inquinamento nel settore agroalimentare e un metodo di allevamento non rispettoso del benessere animale. Il comprato zootecnico italiano è responsabile dei due terzi delle emissioni di ammoniaca nazionali, con conseguenze dirette sulla salute umana. Per questo, Greenpeace, Medici per l’ambiente, Lipu, Terra e Wwf Italia hanno presentato una proposta di legge per superare gli allevamenti intensivi e sostenere una transizione agroecologica della zootecnica.
Il testo della proposta è molto semplice e punta a promuovere la transizione ecologica nel settore, in linea con gli impegni europei, tutelare gli interessi dei piccoli produttori, l’ambiente e la salute delle consumatrici e dei consumatori italiani. Come riporta Greenpeace, infatti, l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce nelle casse di appena il 20% di beneficiari, cioè i grandi produttori, e il settore zootecnico produce il 75% delle emissioni di ammoniaca e contribuisce all’inquinamento da polveri sottili, che causa 50 mila decessi prematuri l’anno.
Per farlo, la proposta chiede al governo di facilitare la transizione ecologica delle aziende e, allo stesso tempo, di istituire una moratoria sull’apertura di nuovi allevamenti intensivi e sull’aumento del numero di animali allevati in quelli già esistenti. Si tratta sostanzialmente di uno stop alla creazione di nuovi allevamenti e alla crescita numerica dei capi presenti in quelli già esistenti, che in Italia ammontano a 700 milioni all’anno.
Questo enorme numero sottrae una grandissima quantità di risorse al consumo diretto umano e causa ulteriori danni indiretti all’ambiente e alla salute. Nel dettaglio, circa il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale e il 75% della produzione di soia mondiale, la cui diffusione sta contribuendo in larga parte alla deforestazione del Sud America e del Sud-Est Asiatico, è destinato proprio ai mangimi animali, come riporta Euractiv.
La produzione intensiva nel nostro paese è anche la causa del consumo eccessivo di carne in Italia, che si attesta a livelli molto superiori rispetto a quelli consigliati dall’Organizzazione mondiale della sanità, con buona pace della nostra dieta tradizionale molto più basata su vegetali e legumi, e ci costringe a importare dall’estero circa il 60% della carne bovina che finisce nei supermercati e nelle macellerie. Un circolo vizioso che deve essere interrotto nell’interesse dell’ambiente, del benessere animale, della salute umana e dei piccoli allevatori che usano sistemi sostenibili, ma vengono penalizzati dalla produzione di massa, con 320 mila piccole aziende chiude nel nostro paese tra il 2004 e il 2016, il 38% in meno, mentre quelle grandi sono cresciute del 23%.
Fonte : Wired