Galileo Galilei, 5 cose che forse non sapete su di lui

Eppur si muove”. Tutti alle elementari abbiamo studiato le parole pronunciate da Galileo Galilei al termine della sua abiura alle teorie eliocentriche, davanti al tribunale dell’Inquisizione. Martire della scienza, genio perseguitato, scienziato visionario: le sue opere e la sua vita sono state studiate e analizzate in tutti i modi e in tutti i tempi. Perché Galileo è popolare come una rockstar ma è dotto come i grandi che hanno scritto la storia della nostra cultura. Di lui sappiamo che apparteneva a una famiglia dove il sapere era di casa, ma che aveva pochi mezzi economici a disposizione: nato a Pisa il 15 febbraio del 1564, si considerava un nobile fiorentino perché da Firenze proveniva la sua famiglia paterna. E il padre, musicista e compositore, lo indirizzò all’arte del suonare il liuto e a una vita di studi. Dal suo ambiente derivano sia la sua curiosità per tutte le declinazioni del sapere, sia il desiderio di rivalsa e gli atteggiamenti polemici che lo hanno accompagnato per tutta la sua esistenza. E da qui derivano i tratti caratteriali, il modo di fare e la supponenza che lo hanno reso odiatissimo e amatissimo, divisivo e immortale come una vera icona pop.

Affari di famiglia

Galileo per anni si trovò a provvedere alle necessità dei parenti, fino a indebitarsi per dare una dote alle sorelle. Si racconta addirittura che uno dei cognati lo minacciò di mandarlo in prigione per debiti. Già da ragazzo Galileo dovette scontrarsi con la volontà del padre che voleva farne un medico per assicurarsi un reddito maggiore. Ma all’università di Pisa non riuscì a concludere gli studi perché volle dedicarsi ai suoi interessi di scienza e di tecnica, dando lezioni private per arrotondare. E nell’età matura si aggiunsero i figli: ne ebbe tre fuori dal matrimonio dalla veneziana Marina Gamba. Il maschio, Vincenzo, fu per tutta la vita a carico del padre, mentre le due femmine, Virginia e Livia, furono costrette alla vita monastica.

Di necessità virtù

Per nulla ricco, Galileo doveva disegnare e costruire da solo i propri strumenti, raccogliere i dati di indagine personalmente, all’aria aperta, immerso nella natura, trascorrendo notti intere “più al sereno e al discoperto che in camera o al fuoco”, come scriveva lui stesso. E dai suoi scritti emerge il disprezzo per i “filosofi in libris”, quelli che noi chiameremmo topi di biblioteca. Proprio il fatto di non avere grandi disponibilità tuttavia aguzzò l’ingegno di Galilei, portandolo ad affinare l’arte di arrangiarsi. Si dice che Galileo, ventenne, abbia formulato la legge dell’isocronismo nelle oscillazioni del pendolo osservando un lampadario nel Duomo di Pisa: per calcolare il periodo e l’ampiezza delle oscillazioni utilizzò un metodo del tutto empirico, confrontando i battiti del proprio polso con il ritmo del movimento. Molti anni più tardi questa osservazione si trasformò in un progetto che lo scienziato non fece in tempo a realizzare e che dopo la sua morte diede impulso alla costruzione degli orologi a pendolo.

Galileo e la Chiesa, nemici e amici

Nonostante i contrasti che lo scienziato ebbe con la dottrina ufficiale della Chiesa, gli storici raccontano come suscitasse stima e ammirazione negli ambienti ecclesiastici. Nel 1611 Galileo andò a Roma, dove, presso l’ambasciatore di Toscana, i Gesuiti organizzarono un’adunanza accademica per onorarlo, con l’intervento di autorevoli cardinali. In questa occasione le scoperte di Galileo relative ai satelliti di Giove furono confermate. Lo stesso papa Paolo V lo ricevette benevolmente. Molti prelati vollero osservare il cielo con il suo “occhiale”, tra questi il rigoroso cardinale Bellarmino. Un altro Cardinale, del Monte, scrisse di lui “se noi fussimo ora in quella Repubblica Romana antica, credo certo che gli sarebbe stata eretta una statua in Campidoglio, per onorare l’eccellenza del suo valore”.

Gourmet e intenditore di vini

Con tutto fosse parchissimo e moderato, volentieri si rallegrava; e particolarmente premeva nell’esquisitezza e varietà de’ vini d’ogni paese, de’ quali era tenuto continuamente provvisto dall’istessa cantina del Serenissimo Gran Duca e d’altrove: e tale era il diletto ch’egli aveva nella delicatezza de’ vini e dell’uve, e nel modo di custodire le viti, ch’egli stesso di propria mano le potava e legava nelli orti delle sue ville” così scriveva nel 1654 Vincenzo Viviani, suo biografo ed amico, nel “Racconto istorico della vita del sig.r Galileo Galilei”. Viviani racconta anche come Galilei producesse personalmente diverse varietà di cibo e si facesse arrivare da tutta Italia le specialità più ricercate: mortadelle da Bologna, caciotte e prosciutti del Casentino, caci dalle Crete senesi e vino da Montepulciano. E dolci delizie, dalle confetture ai biscotti, gli venivano inviate dal convento di Arcetri, dove viveva sua figlia Virginia, diventata monaca con il nome di Suor Maria Celeste. La stessa figlia si preoccupava per la sua salute e gli raccomandava di non stare troppo a lungo a lavorare nell’orto, esposto ai rigori del freddo o al caldo intenso.

Mente sana…in corpo fragile

Proprio i problemi di salute segnarono per molti anni la vita di Galileo: non solo la cecità sopraggiunta in tarda età, ma numerosi acciacchi, dai dolori di testa alla colite, dai reumatismi agli attacchi di ansia. Nei suoi scritti lo scienziato si lamenta frequentemente delle sue fatiche fisiche, che in alcuni casi si sono intrecciate con il corso degli eventi: così nel 1632 gli fu imposto di recarsi a Roma presso il Sant’Uffizio; Galileo però cercò di evitare il viaggio sostenendo che gli acciacchi dovuti alla sua età avanzata sarebbero peggiorati con il freddo e i disagi del trasferimento. Fu obbligato però ad affrontare la trasferta. Diversamente la sua condanna al carcere venne scontata “ai domiciliari” nella sua villa di Arcetri, proprio per non aggravare le sue condizioni. Qui venne assistito fino alla fine dai fedeli discepoli Viviani e Torricelli. Subito dopo la sua morte si diffuse la voce che a Galileo sarebbe stato eretto un mausoleo in Santa Croce; il cardinale Barberini dovette pertanto scrivere all’Inquisitore di Firenze in questi termini: “non è bene fabbricare mausolei al cadavere di colui che è stato penitenziato nel Tribunale della Santa Inquisizione, et è morto mentre durava la penitenza, perché si potrebbero scandalizzare i buoni”.

Fonte : Wired