Per settant’anni è stato un fossile tra i più celebri in Italia. Un corpo di “Tridentinosaurus antiquus”, un dinosauro misterioso, vecchio di 280 milioni di anni ritrovato in Trentino e dotato di una caratteristica quasi unica: la presenza di uno strato di pelle carbonificata che ricopre il profilo fossile delle ossa. Nelle scorse settimane, però, un team di ricercatori del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige, del Muse di Trento, dell’università di Padova e dell’università di Cork ha rivelato la verità: il dinosauro misterioso non è mai esistito, perché il fossile custodito presso il museo museo della natura e dell’uomo dell’Università di Padova altro non è che un falso. Una notizia che ha sorpreso la comunità scientifica, ma che non rappresenta certo una prima volta: i fossili falsi, infatti, esistono almeno dagli albori della stessa paleontologia. Qualche esempio famoso?
Il tridentinosauro
Iniziamo proprio da lui: il fossile di Tridentinosaurus antiquus è stato scoperto nel 1931 nei pressi di Stramaiolo, sull’Altopiano di Pinè, in Trentino. Risale al Permiano (da 300 a 250 milioni di anni fa), e ha attirato da subito la curiosità dei paleontologi per la presenza di una traccia carboniosa sulla sua superficie, simile a pelle. Un fenomeno assolutamente raro nei fossili di dinosauro, che ha spinto il team di ricerca internazionale a studiarlo più a fondo con tecniche moderne. “I fossili eccezionalmente preservati sono rari, ma possono rivelare i segreti della colorazione, l’anatomia interna e la fisiologia degli animali estinti offrendo una visione nitida degli organismi del passato”, spiega in un comunicato Valentina Rossi, ricercatrice dell’università di Cork e coordinatrice dello studio. “La vera sorpresa arriva quando, con tecniche moderne, scardiniamo i segreti nascosti dei fossili”.
E in effetti le analisi hanno riservato diverse sorprese, anche se di genere diverso da quelle che si aspettavano di trovare i ricercatori. I risultati, descritti in uno studio pubblicato sulla rivista Paleontology, hanno rivelato infatti che quella che sembrava ad occhio nudo pelle carbonificata, altro non era in realtà che uno strato di vernice. Rimaneva la possibilità che si trattasse di uno strato protettivo applicato per preparare il fossile per la sua esposizione museale (un accorgimento comune in passato), ma le analisi di microcampioni estratti dal fossile hanno rivelato un’altra verità: si trattava di una vernice conosciuta come nero d’ossa, un prodotto che viene realizzato ancora oggi dalla combustione di ossa animali.
Come sia finita la vernice sul fossile non è chiaro, anche perché le strutture sottostanti (le ossa degli arti posteriori e alcuni osteodermi, strutture simili alle squame dei coccodrilli) sono risultate in realtà autentiche, e appartenenti a un rettile non identificato che abitava le Alpi nel Permiano. È certo quindi che si tratti di un falso realizzato da qualcuno prima del 1959, data della prima descrizione ufficiale del fossile, prodotto con lo scopo di abbellire il reperto, o magari per rendere più visibile il fossile sottostante. Lo studio del tridentinosauro, comunque, continuerà di certo nei prossimi anni, perché rimane pur sempre un dinosauro di cui non conosciamo praticamente nulla. E di cui, anzi, ora sappiamo molto meno di prima.
Un vecchio problema
Come racconta la stessa Valentina Rossi in un articolo scritto per The Conversation, i falsi in paleontologia sono un problema che risale agli albori stessi della disciplina. I primi resoconti si trovano già tra la fine del 1700 e l’inizio del‘800, quando artigiani senza scrupolo, anche in Italia, preparavano finti fossili da vendere a ricchi collezionisti, spinti all’acquisto dall’interesse scientifico e culturale che queste misteriose meraviglie naturali iniziavano a suscitare tra accademici e scienziati dilettanti. Il problema – spiega Rossi – continua a farsi sentire anche ai giorni nostri, perché un numero imprecisato di reperti falsi sono entrati nell’arco di due secoli e più nelle collezioni di paleontologi e musei, si sono fatte strada nella letteratura scientifica, inquinando la disciplina e le sue classificazioni, e costringendo ancora oggi i ricercatori a prestare la massima attenzione quando si trovano a lavorare su vecchie scoperte date ormai per assodate. Il mercato dei fossili ai giorni nostri è ancora attivissimo, tanto da raggiungere un giro d’affari di 50 milioni di dollari l’anno nel solo Marocco. È quindi evidente che la produzione di falsi è ancora fin troppo appetibile per falsari e commercianti senza scrupoli, tanto che da anni i paleontologi chiedono alle istituzioni internazionali una stretta sulle leggi che regolano il commercio di fossili, e quindi un maggior controllo che potrebbe dissuadere anche dalla produzione di falsi.
Il gigante del Vecchio Testamento
Alcuni dei falsi più celebri, comunque, sono piuttosto spassosi. È il caso ad esempio del cosiddetto gigante di Cardiff, un fossile sui generis, è vero, impossibile però da non citare. La vicenda risale al 1969, quando il venditore di tabacco americano George Hull decise di organizzare una truffa per dimostrare la creduloneria delle masse, in seguito a un dibattito in cui lui, ateo, aveva avuto la peggio contro un reverendo metodista. La discussione aveva affrontato il versetto 6:4 della Genesi, in cui si parla dei Nefilim, un popolo di giganti che abitava la Terra nell’antico passato. E per questo, Hull fece realizzare una statua di circa tre metri dalle fattezze umanoidi, la invecchio artificialmente utilizzando acidi e tinture, e poi la sotterrò nella fattoria di un parente nell’area di Cardiff, New York.
Fonte : Wired