Avrei voluto dire qualcosa sul divieto di smartphone e tablet in classe imposto dal ministro Valditara nelle scuole elementari e medie. Sono banditi anche per scopi didattici, fosse mai che qualcuno riesca a imparare meglio una lezione. Di pancia viene da dire: “Meno male! Basta con questi strumenti demoniaci che rovinano i nostri figli”.
Ma poi ripensi al fatto che ogni mattina prima delle 8 vedi avanzare legioni di bambini diretti a scuola con il trolley, come se si imbarcassero su una astronave che li riporta al passato. Voi avevate il trolley per portare i libri a scuola? Avevate questa montagna di libri di testo sempre più grandi? No. E ripensi al fatto che dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza centinaia di milioni di euro li abbiamo destinati alla formazione digitale dei docenti, cioè per insegnare loro a fare lezione anche con l’ausilio dello smartphone e del tablet, non perché vogliamo sentirci moderni, ma perché quelli che hanno meno di 20 anni sono nati in un mondo digitale fatto di schermi e non sono scemi, non sono distratti, hanno semplicemente un modo di apprendere e di pensare diverso dal nostro. E se la scuola non li capisce, questi bambini e questi ragazzi, li perderà per sempre. Li perderemo per sempre.
Avrei voluto, ma poi ho letto un formidabile articolo di Matteo Lancini sulla Stampa e ho deciso di prendere in prestito le sue parole. Le sintetizzo: giusto vietare i cellulari in classe agli studenti, ma allora anche ai docenti; e anche ai genitori, quando vengono a scuola per la recita di fine anno e passano il tempo a fare foto e video da postare. Perché siamo noi adulti ad aver eretto questa società digitale, siamo noi il modello di riferimento che non può mai sconnettersi. Salvo poi attribuirle la responsabilità di tutti i mali del mondo perché questo assolve noi genitori, noi docenti e la società tutta. Invece di provare a capire le ragioni profonde dell’ansia dei ragazzi, del loro senso di inadeguatezza, invece di capire perché sono sempre di più quelli che ci dicono “la scuola non serve a niente”. Li facciamo imbarcare su un’astronave diretta al passato con un trolley carico di libri privandoli dell’unico strumento che li fa sentire liberi. Ma se provassimo a fare un pensiero un po’ più complesso? A metterci in discussione?
Fonte : Repubblica