Questa è la storia di Bic & Biro. Così come l’ho sentita l’altro giorno, sul palco dell’auditorium dell’Unione Industriali di Torino, gremito come per le grandi occasioni. E l’occasione era in effetti grande: l’avvio delle celebrazioni di Torino capitale della cultura d’impresa, un riconoscimento che la Confindustria assegna ogni anno ad una città che sappia e voglia interpretare la cultura che serve a fare l’imprenditore; e le ricadute culturali, sul territorio, di una impresa fatta bene. Si tratta di un riconoscimento abbastanza recente, la prima è stata Genova, poi Alba, poi quattro città del Veneto e infine Pavia. Tra queste Torino eccelle per varie ragioni, non ultima il fatto che qui nel 1906 nacque la Lega industriale che poi diventerà Confindustria. Sul palco si sono avvicendate alcune storie bellissime, in particolare quella di Lavazza, diventata una multinazionale di successo a partire da una drogheria aperta nel 1895. Lavazza è un esempio di come si possa crescere tanto e bene senza delocalizzare, senza sfruttare l’Italia per avere incentivi da godersi all’estero, senza dimenticare il territorio da cui si proviene, investendo sulle persone. A partire dal logo che in tutto il mondo recita: “Torino, Italia, 1895”. Ma sul palco poi è metaforicamente salita una bellissima storia del passato che ogni tanto riemerge; l’ha raccontata il presidente della Regione Alberto Cirio. È la storia di Bic e Biro. Laszlo Josef Birò era un inventore ungherese e nel 1943 brevettò la penna a sfera: si dice che ebbe l’intuizione guardando la scia che una palla si lasciava dietro uscendo da una pozzanghera. La pozzanghera era l’inchiostro. Nacque così la penna biro, molto più comoda della stilografica. L’invenzione era geniale ma non perfetta ed ebbe un sacco di problemi commerciali. Dopo mille peripezie il brevetto passò nelle mani del barone Marcel Bich, nato a Torino e per questo se ne parlava lunedì, il quale apportò alcune piccole decisive modifiche: per esempio la penna sarebba stata trasparente, per consentire di verificare l’inchiostro rimanente e la forma sarebbe stata esagonale e non tonda, in modo da non rotolare a terra dai banchi di scuola che erano in leggera pendenza. Aggiunse un forellino per rendere la pressione atmosferica interna ed esterna identiche e quindi evitare che l’inchiostro si seccasse.
Da Birò e Bich sono arrivati la Biro e la Bic: l’innovazione è un percorso, non un traguardo.
Fonte : Repubblica