Avatar: La leggenda di Aang, perché la serie animata è inarrivabile

Arriva su Netflix la nuova serie Avatar: La leggenda di Aang. In originale s’intitola Avatar: The Last Airbender, bisogna specificarlo per non confondere con l’omonima saga di James Cameron, che comunque è arrivata dopo il debutto della serie animata uscita nel 2005. Tutta questa saga, infatti, ha avuto origine dalla serie d’animazione creata da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko e trasmessa per tre stagioni sul canale Nickelodeon. A distanza di quasi vent’anni, quella produzione rimane praticamente un unicum nel mondo dell’animazione per ragazzi (ma in realtà anche per adulti) e ancora una vetta inarrivabile dal punto di vista della qualità.

In breve, la trama ruota attorno a un mondo diviso in quattro tribù in guerra tra loro, ognuna delle quali è legata a un elemento naturale (acqua, aria, fuoco e terra), il cui destino potrà essere salvato solo da un Avatar, ovvero da colui che ha la capacità di manipolare tutti e quattro gli elementi. Una delle caratteristiche che fanno apprezzare questo Avatar più di tutte è la sua capacità di creare un mondo coerente e articolato, con una sua mappa, una sua storia stratificata e tante diverse culture che riarticolano in modo sincretico soprattutto le civiltà asiatiche, che qui, pur mescolate, risaltano in tutto il loro fascino peculiare. Gli spettatori vengono introdotti in questo universo con gradualità, suscitando una curiosità costante e senza venire sopraffatti da miriadi di dettagli, gustandosi una varietà di setting e tradizioni che vanno dalle tribù polari alle grandi città del regno della Terra.

Grande attenzione è data alla costruzione dei personaggi, che sono molto più maturi e tridimensionali di quanto non ci si aspetterebbe da una serie animata di questo tipo. L’eroico Aang, dodicenne, non è il solito eroe di turno, ma è anche un ragazzino che sente su di sé il peso delle aspettative che il mondo intero ripone in lui, oltre a portarsi dietro il senso di colpa per essere rimasto ibernato per anni mentre tutto attorno a lui crollava (e la sua tribù stessa veniva decimata). Allo stesso modo il suo iniziale antagonista, Zuko, non è un cattivo unilaterale, ma dimostra pian piano il tormento di un giovane a sua volta con i suoi traumi e la sua necessità di autodeterminazione. Per non parlare dei comprimari, tutti brillanti e altrettanto interessanti, dell’indipendente Toph (ragazza cieca) alla volitiva Katara, passando per lo spassoso Sokka.

In generale, Avatar: La leggenda di Aang ha resistito alla prova del tempo è ancora oggi estremamente interessante perché associa un’avventura piena di carisma e colpi di scena a temi decisamente profondi, per così dire universali: dai traumi famigliari alla vendetta, dai rischi della propaganda al pericolo dei genocidi di intere civiltà, oltre a un filo conduttore legato alla salvaguardia dell’ambiente. certi aspetti ci risuonano di cruciale attualità. Molti hanno atteso con grande trepidazione l’adattamento Netflix, ma c’è già chi storce il naso rispetto ad alcune scelte stilistiche. Ma, in effetti, superare un antecedente così eclatante è davvero una missione degna del più dotato degli Avatar.

Fonte : Wired