Franco “Van Damme” Perrucci, il carabiniere che combatteva gli spacciatori a colpi di karate

La sua leggenda è nata in un giorno del 1996. Il lungo appostamento per stanare gli spacciatori a Dallas (un agglomerato di palazzi nella zona di Bonagia a Palermo) poi il blitz, la reazione feroce dei pusher che lo accerchiano. Ma il carabiniere – che si trova da solo contro sei uomini – reagisce e a colpi di karate fa scappare tutti. Sì, perché lui non è un carabiniere qualunque. Lui è Van Damme, al secolo Franco Perrucci. Muscoli, tatuaggi, coraggio. Ma anche spettacolo, sostanza. E soprattutto passione e dedizione per il suo lavoro. Una specie di totem a Palermo, capace di raggiungere picchi di notorietà inauditi negli anni Novanta. Adesso Perrucci è un carabiniere in pensione. Ha appena compiuto 60 anni. “Fino a quel giorno del ’96 per tutti ero ‘il cinese’. Da quel momento sono diventato Van Damme per l’abilità come l’attore belga (molto in voga in quegli anni) nell’usare le arti marziali nei momenti più complicati”. E Van Damme, brindisino, di momenti terribili a Palermo ne ha visti a migliaia.

Ma che ci fa un pugliese a Bonagia, anzi a “Dallas”? Nato per la precisione a Oria, un piccolo comune alle porte di Brindisi nel 1964, è arrivato in Sicilia quando di anni ne aveva appena 18. “Dopo aver completato il corso per diventare carabiniere sono passato al nucleo investigativo, nella caserma Carini. Mi occupavo di latitanti, ero nella sezione Catturandi. Ricordo tante operazioni però ero attratto da tutto ciò che contrastava il complicato mondo dello spaccio di droga. Non riuscivo ad accettare che in tanti perdevano la vita da giovani per fare uso di stupefacenti. E Palermo all’epoca era invasa da pusher che vendevano veleno ai tossicodipendenti. Così di tanto in tanto gravitavo nella sezione antidroga. Poi nel 1990 – dopo una parentesi a Cefalù – sono diventato effettivo. Ho iniziato a lavorare nel reparto antidroga a Palermo, inizialmente ero impegnato nel contrasto ai traffici di stupefacenti. Avevo una squadra con dodici persone: sei la mattina e sei il pomeriggio. Mi piaceva tantissimo questo lavoro, ero sempre impegnato”.

“Dicevano che il problema del sovraffollamento all’Ucciardone fosse colpa mia. Abbiamo visto le cose più incredibili” racconta Perrucci a PalermoToday.

Tutte quelle retate sono rimaste scolpite nella sua memoria.
“Certo, ricordo le operazioni e i loro nomi. Mi torna in mente tutto come se fosse ieri. L’operazione ‘Sorry please’, ‘Città pulita’, ‘Cacio cavallo’, ‘Peetbull’ (sequestrati 250 chili di marijuana e 7 trafficanti in manette). Ma anche ‘Caffettino’ (sequestrati 130 chili di marijuana albanese), o quella chiamata ‘Santa Rosalia’ (80 chili di hashish). Arrivavamo ovunque. Una volta mi sono infiltrato come turista con tanto di bermuda e cappellino in un covo di africani e ho scoperto un deposito di marijuana a Ballarò. Quello era un quartiere ‘pesante'”.

Quasi sempre lavorava sotto copertura…
“Sì, l’obiettivo era quello di ‘ripulire’ il quartiere che avevamo puntato. Una volta completato il lavoro poi mi spostavo in un’altra zona di Palermo. Sa che cosa si diceva? Che dopo i blitz di Van Damme non circolava più neanche una canna. Gli spacciatori avevano il terrore a vendere anche le più piccole stecchette di ‘fumo’. Ci volevano almeno cinque ore prima che passasse la paura di un nostro ritorno”.

Un lavoro, mille pericoli. Una volta alla Guadagna scrissero su un muro: “Morte a Van Damme”. Ha mai pensato di morire in servizio? In alcuni covi ci sono ancora le croci accanto al suo nome.
“Ho rischiato la vita tantissime volte anche perché ero sempre disarmato. Per questo ogni tanto sono stato costretto a dover usare mani e piedi. Ho subito attentati, sono passato indenne anche alle sparatorie, spesso mi sono ferito. Ma se calcoli il rischio non lavori bene e io mi buttavo a capofitto in ogni situazione. Purtroppo qualcosa l’ho lasciata per strada. Per ‘colpa’ del mio lavoro ho perso una moglie e una compagna, mi sono precluso la possibilità di essere parte della crescita dei miei figli. Lavoravo tutto il giorno, con la mia squadra che era divisa in turni diversi per coprire l’intera giornata. C’era una specie di ingranaggio aziendale molto rodato. Ogni tanto mi prendevo una decina di giorni per staccare la spina ma mi chiamavano sempre. E io c’ero. Ricordo ad esempio l’operazione ‘Conio’ in via Cipressi quando ho scoperto la prima stamperia di monete false in Italia, in quel periodo era morta la mamma della mia ex moglie ma ero presente. Di soddisfazioni però ne ho ricevute tante, anche encomi e lettere. Anonimi cittadini che mi scrivevano per dirmi semplicemente ‘grazie per averci ridato il nostro quartiere'”.

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Fonte : Today