L’Europa sulla guerra nella Striscia di Gaza continua a muoversi a passo di lumaca, condannandosi a (o scegliendo di) restare completamente ininfluente dal punto di vista diplomatico. Tra gli Stati membri si allarga però il consenso alla richiesta di un cessate il fuoco, anche se in maniera molto cauta, mentre Israele sembra pronta a lanciare l’offensiva si Rafah, offensiva che potrebbe avere conseguenze umanitarie disastrose. Ventisei Paesi membri hanno appoggiato una dichiarazione dell’Alto Rappresentante per chiedere “un’immediata pausa umanitaria che possa portare a un cessate il fuoco sostenibile”.
La dichiarazione non sarà fatta a nome dell’intero Consiglio Ue, per l’opposizione della sola Ungheria di Viktor Orban, ma è comunque il segnale che sulla questione qualcosa si sta muovendo a Bruxelles. Il responsabile della diplomazia comunitaria, Josep Borrell, sta provando a spingere i Ventisette affinché abbiano un ruolo più forte per provare a fermare gli attacchi israeliani che hanno già ucciso oltre 29mila persone, per la gran parte civili, donne e bambini. La dichiarazione chiede anche di non procedere con l’operazione a Rafah, che il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha detto partirà prima del ramadan, cioè intorno al 10 di marzo. Tel Aviv ha promesso un piano per far evacuare i civili, ma sul dove possano andare i civili è ancora un mistero.
E lo stesso Borrell lo ha sottolineato. “La differenza tra la guerra a Gaza e le altre guerre è che nelle altre guerre i civili fuggono. I non combattenti se ne vanno, scappano se possono. E normalmente possono. Ma da Gaza non possono fuggire. A Gaza sono chiusi in un perimetro”, ha ricordato. E non solo loro non possono uscire, ma nemmeno gli aiuti umanitari possono entrare. “Quando c’è una guerra, la Croce rossa e altre istituzioni vengono in aiuto delle persone che hanno subito violenza”, mentre a Gaza gli aiuti “non arrivano o arrivano con il contagocce e in quantità irrisorie rispetto ai bisogni della popolazione”, ha aggiunto Borrell. “Non abbiamo la capacità di intervenire sul terreno, ma abbiamo la forza politica e diplomatica” per fare pressione su Tel Aviv affinché si fermi, ha affermato l’Alto rappresentante.
Ma questa forza politica e diplomatica, come gli aiuti umanitari, pure arriva col contagocce perché i Paesi dell’Unione europea non solo hanno difficoltà a mettersi d’accordo su una dichiarazione comune, ma ne hanno ancora di più ad accordarsi su azioni concrete per fare pressione su Tel Aviv. E così neanche oggi, dopo 10 ore di riunione, i ministri degli Esteri dei Ventisette sono riusciti a trovare un accordo sulle sanzioni contro i coloni ebrei estremisti della Cisgiordania, un provvedimento di fatto quasi esclusivamente simbolico, e che è già stato adottato ad esempio dagli Stai Uniti due settimane fa, proposto lo scorso dicembre.
Dal canto suo la Spagna ha deciso che in ogni caso imporrà unilateralmente queste sanzioni, seguendo la linea già presa dalla Francia, e lo stesso sembrano intenzionati a fare Irlanda e Belgio. “Se non ci sarà un accordo la Spagna procederà individualmente con queste sanzioni contro i coloni violenti”, ha dichiarato il ministro degli Esteri di Madrid, Jose Manuel Albares. ai giornalisti prima della riunione. La settimana scorsa, le autorità di Parigi hanno vietato a 28 coloni israeliani di entrare nel Paese, accusandoli di aver attaccato i palestinesi nella Cisgiordania occupata, e un provvedimento simile è stato adottato dagli Stati Uniti di Joe Biden.
I dati delle Nazioni Unite mostrano che gli attacchi quotidiani dei coloni sono più che raddoppiati dopo l’attacco a sorpresa di Hamas contro Israele il 7 ottobre e il conseguente assalto all’enclave palestinese di Gaza. LA dichiarazione sottoscritta a 26 chiede anche di evitare un attacco a Rafah, città nella quale sono ormai ammassiate quasi un milione e mezzo di persone, in un territorio in cui prima ce n’erano circa 260mila.
Un attacco contro la città più meridionale dell’enclave “certamente, sarà contrario al rispetto del diritto umanitario”, ha detto la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, secondo cui Israele ha il “diritto all’autodifesa” ma “deve rispettare la legge umanitaria internazionale”, e considerare che “più di un milione di persone sono andate nel sud di Gaza perché l’Idf (l’esercito israeliano, ndr) ha detto loro di farlo e ora non possono scomparire nel nulla”. “Un attacco a Rafah sarebbe assolutamente catastrofico, sarebbe inconcepibile”, ha dichiarato il ministro degli Esteri irlandese Micheal Martin, secondo cui il mondo è “scioccato” dal livello di “disumanità” che regna a Gaza.
Fonte : Today