A pochi giorni dalla rielezionie plebiscitaria di Aliev i soldati azeri hanno aperto il fuoco accusandoi gli armeni di “provocazione”. Pašinyan replica agli ultimatum, mentre si allontanano le prospettive di un accordo di pace. Le nuove rivendicazioni di Baku sull’enclave del Nakhičevan.
Erevan (AsiaNews) – Le trattative di pace tra Armenia e Azerbaigian sembrano rimanere ferme a un punto morto, nonostante promesse e annunci da entrambe le parti, e nuove tensioni creano la preoccupazione circa una possibile ripresa del conflitto, dopo la conquista del Nagorno Karabakh da parte di Baku lo scorso settembre. Il politologo russo Arkadij Dubnov, a lungo consulente dei servizi di intelligence di diversi Paesi, ha commentato la situazione per Novosti Armenia, cercando di individuare i punti nevralgici del contesto caucasico.
Egli osserva che “non è passata una settimana dalla rielezione plebiscitaria di Ilham Aliev a presidente dell’Azerbaigian, che si sono subito delineati i contorni della politica del nuovo-vecchio leader”, con la “operazione di risposta” dei soldati azeri di confine nei confronti di quella che è stata definita una “provocazione” degli armeni, iniziando una sparatoria che ha ucciso quattro armeni e ferito gravemente un azerbaigiano. A Erevan hanno cercato di prendere tempo per comprendere che cosa fosse effettivamente accaduto, ma da Baku “non hanno voluto aspettare, dando l’ordine di aprire il fuoco”. Secondo Dubnov non si tratta di un incidente isolato e casuale, ma di una “recrudescenza assolutamente seria del conflitto”, sullo sfondo dell’irrigidimento di Aliev circa le condizioni necessarie per la firma dell’accordo di pace.
Ora il presidente azero insiste sulla riscrittura della costituzione dell’Armenia, tema molto divisivo e molto dibattuto tra gli stessi armeni, pretendendo di escludere qualunque formula o accenno che possa essere riferito al Nagorno Karabakh. Nonostante da Erevan siano arrivati segnali di disponibilità al riguardo, tanto da eliminare il settore che si occupava dell’Artsakh al ministero degli esteri, da Baku continuano a giungere severi moniti e minacce di “usare la forza in caso di mancata esecuzione” delle richieste.
Nella tanto citata intervista di Nikol Pašinyan a The Telegraph di qualche giorno fa, il premier armeno ha ricordato gli ultimatum di Aliev, affermando che “egli ha detto che se vede un riarmo dell’Armenia inizierà un’operazione militare contro di noi, ha ripetuto le sue pretese di aprire un corridoio tra il territorio armeno e l’enclave azera del Nakhičevan, escludendo anche di ritirare le sue truppe dal nostro territorio, dislocate sulle alture strategiche, poiché a suo parere queste zone occupate sono necessarie per tenere sotto controllo le intenzioni degli armeni”.
Pašinyan ritiene dunque che “l’Azerbaigian stia compiendo diversi passi indietro rispetto a quanto già accordato precedentemente”, mentre l’Armenia intende rivendicare il “diritto sovrano di ogni Paese indipendente” ad avere un esercito forte ed efficiente. Aliev definisce questa aspirazione di Erevan come una “espressione di revanscismo”, e Dubnov è convinto che la pretesa di Baku per un disarmo totale armeno sia “semplicemente assurda: l’Armenia del dopoguerra non è la Germania hitleriana del dopoguerra, o il Giappone imperiale dopo la sconfitta, con le inevitabili limitazioni alla forza militare”.
Per questo “la possibilità di una nuova guerra nel Caucaso meridionale di nuovo appare ben di più che una possibilità teorica”, conclude l’esperto, “e diventa sempre più chiaro perché Aliev abbia voluto affrettarsi così tanto nel tenere le elezioni anticipate”. Secondo il ministero della difesa armeno, la sparatoria iniziata dagli azeri il 13 febbraio contro le postazioni armene del distretto di Nerkin Khanda nella regione di Siunyk è da considerare soltanto “l’inizio di una nuova campagna militare di Baku”, che non si sa fin dove potrebbe spingersi nei prossimi giorni.
Fonte : Asia