Sabato 17 febbraio il Digital services act (Dsa), il pacchetto di norme europee sui servizi digitali, è diventato legge per tutti. Ma mancano ancora molti pezzi che compongono il regolamento a cui devono attenersi fornitori di cloud e di hosting, motori di ricerca, ecommerce e servizi online e, in generale, tutti gli intermediari in rete. Il nuovo testo impone trasparenza su algoritmi e pubblicità, lotta alla violenza online e alla disinformazione, protezione dei minori, stop alla profilazione degli utenti e ai dark patterns, quei sistemi nascosti di manipolazioni delle nostre scelte in rete.
Il Dsa è entrato in vigore già dal 2023 per 22 multinazionali, identificate come grandi piattaforme e grandi motori di ricerca: Google con 4 servizi (search, shopping, maps, play), Youtube, Meta con Instagram e Facebook, Bing, X (già Twitter), Snapchat, Pinterest, LinkedIn, Amazon, Booking, Wikipedia e l’App Store di Apple, TikTok, Alibaba Express, Zalando e poco prima di Natale si sono aggiunti i siti porn Pornhub, XVideos e Stripchat. Ora il Dsa è legge per tutti. Ma chi controlla che le aziende digitali rispettino le regole?
Mancano i guardiani
All’appello di sabato scorso, per esempio, i controllori di molti paesi non hanno risposto. Ogni Stato dell’Unione è tenuto a identificare un’autorità responsabile dell’applicazione del Digital services act in casa, il coordinatore dei servizi digitali. L’Italia, per esempio, ha incaricato l’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom), che già bazzica nel settore tra reti di telecomunicazioni, media e che di recente si è fatta portavoce di una campagna per regolare il mercato degli influencer. Dublino ha eletto il corrispettivo irlandese, così come la Romania e il Portogallo. I Paesi bassi hanno affidato la pratica al Garante del mercato e dei consumatori. E così ha fatto il Lussemburgo. Tuttavia alcuni Stati non hanno ancora nominato il loro referente: sono Belgio, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Estonia, Francia, Germania, Slovacchia, Slovenia e Grecia. Undici paesi su 27. Non proprio un inizio incoraggiante per un pacchetto che è entrato in vigore per le big tech già da un anno.
Insieme alle autorità di controllo non sono pervenuti i trusted flaggers, i segnalatori affidabili. Sono una figura chiave dell’applicazione del Dsa, perché rappresentano quelle figure (individui o enti) che vantano una comprovata esperienza nel contrasto all’odio online, alla violenza via internet e alla diffusione di truffe e fake news e, per questo motivi, quando alzano la mano per segnalare un problema su una piattaforma, vanno ascoltati con la massima urgenza. Possono essere investiti del compito enti di ricerca, fact checkers, sindacati, università, associazioni che si battono i diritti digitali. Ma la nomina spetta alle autorità del paese, che conoscono le voci più autorevoli sul territorio, sanno come costruirsi una rete di sostegno nel controllo dei contenuti online e, quando ricevono un loro alert, devono subito attivarsi.
Fonte : Wired