«Fra pochi anni, intelligenza artificiale (IA) e immunoterapie ci aiuteranno a curare il cancro, meglio di qualsiasi altra terapia. La chemioterapia scomparirà. La nuova frontiera è qui». Fabio Luciani, professore di Immunologia e Machine learning all’Università UNSW (University of New South Wales), a Sydney, una delle top 50 università al mondo, non ha dubbi. Ha trascorso 21 anni della sua vita a fare ricerca sperimentale e teorica, dedicando gran parte del suo tempo all’IA applicata all’immunologia. E ora, a 49 anni, sta lanciando una startup dall’Australia. Crea gemelli digitali, una sorta di avatar dei pazienti, e grazie all’intelligenza artificiale riesce a predire chi può avere beneficio da una immunoterapia e chi no. Aprendo la strada alla medicina personalizzata e alle terapie su misura. «E la cosa bella è che da Sydney sto collaborando con una startup italiana di intelligenza artificiale, la ASC27, il cui Ceo Nicola Grandis, è abruzzese come me».
I modelli predittivi sono la sua passione da sempre.
«Ho costruito gran parte della mia carriera cercando di applicare l’intelligenza artificiale all’immunologia per curare malattie autoimmuni e il cancro. Le immunoterapie, ossia le terapie che si basano sul manipolare la naturale risposta immunitaria e reindirizzarla verso i tumori, stanno rivoluzionando la medicina. Alcune immunoterapie, come per esempio quella contro il melanoma avanzato permette di aumentare dal 3 al 40% il numero dei pazienti che rispondono alla terapia. Il nostro approccio vuole fornire una terapia su misura all’individuo, prevenire effetti collaterali, avvisandolo anticipatamente delle variazioni necessarie nel suo trattamento. Questa applicazione sarà utilizzata nei pazienti coinvolti in Clinical Trials e in futuro in tutti i pazienti. Un approccio che non solo aiuterà chi soffre ma anche migliorerà le conoscenze su queste nuove terapie».
Partito da un piccolo paese abruzzese, Luciani è arrivato a Sydney, attraversando prima l’Italia, poi l’Europa.
Fisico teorico, la stessa disciplina del premio Nobel Giorgio Parisi, nella vita si è avvicinato a diverse discipline, ha seguito mille passioni. «Ho sempre girato moltissimo. Fare ricerca per me voleva dire viaggiare. Seguire le mie intuizioni». Napoli, Roma, Bologna, Dresda, Berlino, Utrecht. Il suo primo interesse è per l’ingegneria. Studia per due anni. Poi si laurea in fisica teorica. Nel frattempo si innamora della medicina. Prende un anno di pausa e va Bologna a studiare immunologia con un luminare: Claudio Franceschi. «È stato il mio mentore, mi chiamava cavallo pazzo». Torna alla fisica, dottorato in Germania. Tesi sui modelli matematici di immunologia . «Facevo già allora modelli di predizione di come funziona il sistema immunitario». Poi va in Olanda. Nel 2005 arriva a Sidney. «Ho iniziato a lavorare sulla tubercolosi: grazie all’intelligenza artificiale riuscivamo a predire i pazienti che avevano forme resistenti agli antibiotici. Ho lavorato sull’epatite C: abbiamo usato la genomica, sequenziando il virus. Abbiamo studiato come questo virus si diffonde nelle carceri, dove esiste una comunità molto grande di tossicodipendenti a rischio infezioni. Facevamo prelievi di sangue e scoprivamo chi era infetto. Poi, grazie alla genomica, riuscivamo a risalire, in base alla similitudine di due genomi di virus presi da due persone diverse, l’origine delle infezioni e i fattori di rischio, dando poi informazioni importanti alle autorità competenti per minimizzare il rischio di infezioni future».
Intuizione, curiosità, umiltà: sono le tre parole chiave della sua carriera. «La curiosità è il filo conduttore della mia vita. È ciò che mi ha spinto sempre avanti. Non ho mai smesso di chiedermi perché. Lo faccio ancora, 24 ore su 24. Lo faccio soprattutto quando le cose vanno male. In Australia sono arrivato come “modellista” di epidemiologia, poi ho lavorato nella genomica, poi sono tornato finalmente all’immunologia. Che in fondo è il mio primo amore».
Sportivo, il professor Luciani ogni settimana nuota 8-10 chilometri nell’oceano. È partito dall’Italia perché gli stava stretta. «Ancora oggi guardo il nostro Paese e vedo persone come me che vogliono fare qualcosa e non ci riescono. Prendi l’Abruzzo. Sono tantissimi gli scienziati e gli studiosi che sono fuggiti. C’è un vero e proprio brain drain. Il Ceo di ACS7, Nicola Grandis, mi è stato presentato da un amico in comune, lo scienziato Carlo Corona. Siamo tutti e tre di Lanciano. Guardo l’Abruzzo e vedo un grande forno. Noi facciamo tanto pane, tanti dolci. Tutto di altissima qualità. Poi però vendiamo tutto. A noi non rimane nulla. Un forno vuoto».
Da ragazzino, Luciani era un ribelle. «Giocavo con i bambini più cattivi, non volevo andare a scuola, ero irrequieto. Poi, a 14 anni, una ragazza mi ha detto: perché non ti metti a studiare invece di fare solo baldoria? Ricordo quella frase come se fosse ora. Ha cambiato la mia vita».
A Milano sono le 8,30 del mattino, a Sydney le 18,30 del pomeriggio. Luciani è sposato con un’australiana, ha due figli. È lontano dall’Italia da più di 20 anni, in Abruzzo ci torna solo in vacanza. Eppure conserva ancora l’accento. «Sono un italiano puro sangue». Appassionato di comunicazione, frequenta i ragazzi, va nelle scuole, spiega che cos’è l’immunologia. «La racconto con un grafico, disegno una grande palla che tocca tutte le altre palle. Tocca l’oncologia, tocca la neuroscienza, tocca tutto. Il sistema immunitario non è localizzato in un punto specifico, è diffuso dappertutto. È nello stomaco, nel fegato, nel cervello. È il sistema periferico che ci difende. Due terzi dei farmaci approvati dalla Food and Drug Administration sono immunoterapie».
Come funzionano? «Le immunoterapie sono terapie che usano il sistema immunitario. Per ammazzare il cancro, gli togliamo i freni. In inglese diciamo “release the brakes”. Mentre nel caso delle malattie autoimmuni, cerchiamo di ridurre tantissimo la risposta immunitaria non voluta».
Luciani è stato tra i primi scienziati al mondo a fare la single cell genomics, che è l’analisi di singola cellula, una tecnologia molto avanzata per studiare in dettaglio il corpo umano.
«Quello che mi ha insegnato la vita è di non arrendersi mai. È continuare a seguire il proprio istinto, la propria curiosità. Le proprie passioni. Guarda cosa ci insegna l’esempio di Sinner. Guarda tutte le persone che hanno avuto successo, ti dicono le stesse cose. Non bisogna mai arrendersi soprattutto nei periodi di difficoltà, essere appassionati, umili. Chi attacca, chi è prepotente, chi è borioso è perché si sente in difetto. Guarda gli animali quando sono sottopressione. La reazione è Fight or flight: attacca o scappa. Lo stesso succede a noi umani»
Curiosi si nasce? «Non lo so. So che tante persone tengono chiusa la curiosità in un cassetto. Io insegno ai ragazzi a esseri curiosi. Il 29 aprile è la giornata mondiale dell’immunologia. In tutto il mondo si fanno iniziative per fa conoscere i traguardi di questa nuova frontiera. A Sydney apriamo il nostro museo alle scuole. Facciamo corsi di formazione agli insegnanti e insegniamo ai ragazzi la curiosità. E l’intelligenza artificiale.
«L’intelligenza artificiale non è altro che una maniera diversa per fare predizioni. Oggi è succube del mondo in cui viviamo. Dove si parla sempre troppo e senza sapere molto. C’è tanta comunicazione che non è fondata su argomenti veri o riproducibili. E questo è un problema. Secondo me, l’IA ha bisogno di riproducibilità. Di fare cose robuste, stabili, che funzionano e sono riproducibili. L’intelligenza artificiale sta davvero cambiando la medicina. Il modo in cui curiamo i pazienti, parliamo con loro, facciamo diagnostica. Grazie a questa tecnologia riusciremo a personalizzare la cura. E magari un giorno a sconfiggere il cancro. È questo il motivo per cui io continuo a fare ricerca…».
Fonte : Repubblica