Che i bitcoin fossero per l’ennesima volta risorti era evidente già da un po’. Dopo aver intrapreso una parabola discendente per tutto il 2022 – passando da un massimo di 67mila dollari a un minimo di 16mila (-76%) – la più antica delle criptovalute aveva infatti iniziato a crescere con una certa rapidità già durante i primi mesi del 2023, arrivando a quota 43mila euro sul finire dell’anno passato.
Una netta inversione di tendenza dopo un periodo estremamente negativo, segnato dallo scoppio dell’ennesima bolla delle criptovalute (e degli NFT), dalla bancarotta fraudolenta di FTX (la seconda più grande piattaforma di compravendita di criptovalute del mondo) e da una lunga serie di scandali che avevano nuovamente compromesso la credibilità di tutto il settore.
Da allora è passato ormai un po’ di tempo (l’arresto di Sam Bankman Fried, fondatore di FTX, risale al dicembre 2022), la polvere è finita sotto al tappeto e un nuovo ciclo di crescita potrebbe essere all’orizzonte. Per quanto sia impossibile prevedere l’andamento di un bene finanziario, negli ultimi trenta giorni la crescita dei bitcoin ha ulteriormente accelerato: i bitcoin sono saliti del 21%, hanno superato la soglia psicologica dei 50mila dollari (prima volta dal dicembre 2021) e la loro capitalizzazione di mercato ha raggiunto i mille miliardi di dollari.
Quali sono le ragioni di questa crescita? La maggior parte degli analisti concorda che questa nuova impennata sia stata alimentata soprattutto dal varo, lo scorso 9 gennaio, dei primi exchange traded fund basati su bitcoin. A differenza dei normali exchange (le piattaforme che permettono la compravendita di criptovalute), questi strumenti finanziari si limitano a seguire l’andamento delle criptovalute, permettendo agli investitori di guadagnare dai movimenti di mercato senza dover direttamente acquistare bitcoin (e quindi semplificando le operazioni e riducendo i rischi).
Un altro aspetto importante è relativo all’imminente halving, previsto attorno alla metà di aprile. L’halving è il fenomeno quadriennale che dimezza la ricompensa in criptovalute ottenute dai miner, ovvero coloro i quali si occupano di convalidare le transazioni che avvengono sulla blockchain. Al prossimo halving, la ricompensa per questo fondamentale lavoro – attraverso cui vengono immessi i nuovi bitcoin sul mercato – passerà da 6,25 a 3,125. Storicamente, il periodo dell’halving coincide con una crescita dei bitcoin, anche a causa della riduzione del numero di criptovalute emesse.
Tutte queste motivazioni sono sicuramente valide. Più in generale, i bitcoin – e a ruota le altre criptovalute – sembrano però seguire cicli motivati da una logica esclusivamente speculativa, in cui una bolla si succede all’altra. La grande bolla del 2021 non è scoppiata per via degli scandali (che potrebbero averla accelerata), ma più banalmente perché un ciclo di frenesia finanziaria si stava ormai esaurendo e gli investitori sono passati all’incasso, innescando la spirale discendente e lasciando gli ultimi arrivati con il cerino in mano. Giunti al termine del crollo, il ciclo sembra essere ripartito, seguendo il classico adagio – attribuito a Nathan Rotschild – secondo cui bisogna “comprare quando c’è il sangue per le strade” (quando cioè i prezzi sono crollati).
Che i bitcoin seguano logiche puramente speculative è confermato anche dal fatto che, a ormai quindici anni dalla loro nascita, non hanno nessun vero utilizzo nel mondo reale: si stima che solo il 2% delle transazioni in bitcoin venga eseguito per acquistare beni o servizi, il restante 98% è invece legato a operazione di compravendita dei bitcoin stessi.
È un aspetto importante per chi pensava che la moneta creata da Satoshi Nakamoto potesse sovvertire l’ordine finanziario e sostituire la sovranità monetaria degli stati, ma che interessa sicuramente poco ai grandi fondi d’investimento (tra cui addirittura Black Rock, il più grande del mondo e responsabile del già citato ETF) e agli investitori che sui bitcoin continuano a scommettere.
Fonte : Repubblica