Idrogeno, come si conserva “sotto sale”

L’idrogeno è una delle grandi promesse della transizione ecologica. Oltre a essere un combustibile che non rilascia carbonio, è ricavabile dall’elettricità pulita e può fungere anche da “contenitore” per l’energia generata dagli impianti eolici e fotovoltaici. Questo significa che può custodire l’energia rinnovabile in modo che sia riutilizzabile successivamente, ad esempio quando la richiesta di elettricità è alta ma il vento o il sole scarseggiano. L’idrogeno, insomma, è in grado di svolgere la stessa funzione di una batteria, ma per periodi di tempo molto più lunghi.

Ma se l’idrogeno permette di conservare l’elettricità verde, come si fa a conservare l’idrogeno? In forma gassosa è piuttosto “sfuggente”: le sue molecole, cioè, sono più piccole di quelle del metano (il componente principale del gas naturale che siamo soliti consumare) ed è quindi più probabile che si verifichino delle fughe. Lo si potrebbe conservare in forma liquida, tuttavia il processo di liquefazione richiede parecchia energia, oltre che temperature bassissime (-253 gradi Celsius, poco al di sopra dello zero assoluto).

Stoccare l’idrogeno nelle caverne saline

Il metodo più efficace, allora, sembra essere quello di stoccarlo nelle caverne saline, che hanno il vantaggio di non essere una soluzione inedita bensì ben rodata, visto che il settore gasiero vi ricorre da decenni per stoccare il gas fossile in attesa del momento del bisogno. Il procedimento è semplice da riassumere: per prima cosa si individua e si raggiunge un deposito salino sotterraneo; dopodiché vi si inietta dell’acqua in modo da sciogliere il sale; poi si procede all’estrazione della salamoia; infine, la cavità creata artificialmente viene riempita di gas naturale. Con l’idrogeno il processo è sostanzialmente lo stesso, ma le differenze non mancano. Infatti lo stoccaggio “sotto sale” dell’idrogeno è una possibilità che – seppur promettente – deve ancora trovare un’applicazione industriale su larga scala.

Le cupole salifere, una volta dissolte tramite una tecnica chiamata solution mining (estrazione per diluizione), lasciano delle caverne impermeabili adatte ad accogliere il gas. Il concetto non cambia se si parla di idrogeno, tuttavia questo elemento aggiunge delle complessità ulteriori. Innanzitutto, le piccole dimensioni delle molecole di idrogeno impongono di prestare una maggiore attenzione al rischio di fughe durante i cicli di iniezione ed estrazione dalla caverna. Inoltre – come spiega uno studio pubblicato su Rinnovabili.it – i microrganismi nel sottosuolo possono metabolizzare l’idrogeno per produrre gas contaminanti, quindi lo stoccaggio potrebbe doversi limitare alle grotte profonde e ad alta salinità dove l’attività microbica non è presente.

Il progetto europeo Hypster

Lo scorso 15 settembre è stato inaugurato in Francia il primo progetto dimostrativo per lo stoccaggio dell’idrogeno verde in una caverna di sale, chiamato Hypster. Situato a Etrez, nella Francia centro-orientale, e supportato da un consorzio di nove aziende europee guidato da Engie, l’obiettivo di Hypster è testare la replicabilità tecnica ed economica del processo in altre parti del continente, “aprendo la strada a una vera industrializzazione del settore”. L’idrogeno verrà prodotto sul posto utilizzando l’energia solare e idroelettrica disponibile; la cavità ha una capacità di stoccaggio di quasi cinquanta tonnellate: quanto serve per soddisfare il fabbisogno giornaliero di duemila autobus alimentati con questo combustibile. In prospettiva, il sito di Etrez ambisce a diventare un centro di rifornimento regionale per i trasporti e le industrie pulite.

Il progetto Delta negli Stati Uniti

Hypster è costato 15,5 milioni di euro, di cui 5 provenienti dall’Unione europea. Ma negli Stati Uniti è in via di realizzazione un progetto molto più grande, da oltre 3 miliardi di dollari. A Delta, una cittadina rurale nello Utah, si sta infatti lavorando per creare un sistema integrato di produzione, stoccaggio e utilizzo dell’idrogeno. L’elemento verrà ricavato da quaranta macchinari detti elettrolizzatori che sfrutteranno il surplus di energia eolica e solare generato in autunno e in primavera, quando la domanda elettrica è mediamente più bassa; successivamente, l’idrogeno verrà conservato in due profonde caverne saline, per essere infine prelevato e bruciato in una centrale elettrica nei mesi invernali ed estivi, quando il fabbisogno cresce.

La nuova centrale elettrica andrà a sostituire un impianto a carbone destinato alla chiusura per mancanza di clienti disposti ad utilizzare una fonte così emissiva. Anche il nuovo stabilimento tuttavia rilascerà gas serra almeno per i primi tempi, in quanto brucerà una miscela di gas naturale e idrogeno al 30%. Si tratta comunque di una quota notevolmente bassa per gli standard attuali. Il passaggio al full hydrogen dovrebbe avvenire nel 2045, quando si stima che saranno pronte tutte le infrastrutture e le tecnologie necessarie, come le tubature e le turbine.

I piani di Snam per l’Italia

Pure in Italia si sta valutando l’utilizzo dell’idrogeno come una batteria sotterranea. Snam, la società che gestisce la rete dei gasdotti, ha avviato già a fine 2021 una collaborazione con l’azienda ingegneristica tedesca Deep.Kbb per lo sviluppo di siti di stoccaggio nelle caverne saline. In occasione della presentazione del piano industriale al 2025, Snam ha dichiarato che “l’idrogeno decarbonizzato sarà la modalità più efficace per lo stoccaggio di energia stagionale, in caverne saline e giacimenti depletati. Il costo di sviluppo di 10TWh di stoccaggio di idrogeno in giacimenti depletati, nell’ordine di circa 1miliardo di euro, è di circa mille volte inferiore rispetto all’alternativa delle batterie”.

Fonte : Wired