Maladaptive daydreaming, cos’è e perché può essere un problema

Fantasticare è un piacere che ci concediamo un po’ tutti. Chi ragionando su questioni più terra-terra, chi perdendosi in sogni e fantasie, il risultato comunque è lo stesso: ogni giorno passiamo circa il 50% delle nostre ore di veglia rimuginando, ragionando e più in generale, sognando ad occhi aperti. Per alcuni però la tendenza a perdersi nei propri pensieri è talmente compulsiva da trasformarsi in un problema. Viene chiamato “maladaptive daydreaming”, ed è una condizione, ancora relativamente poco studiata, che porta chi ne soffre a immergersi per lunghi periodi (anche più ore consecutivamente) nei propri sogni ad occhi aperti, distaccandosi dalla realtà al punto da avere problemi nelle normali attività della vita quotidiana.

Sognare ad occhi aperti

Il maladaptive daydreaming è un disturbo psicologico che non è ancora stato riconosciuto ufficialmente dal Dsm (il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, considerato la bibbia della psichiatria) o da altri strumenti diagnostici internazionali. Per questo motivo, la ricerca in questo campo è ancora tutto sommato carente. Le diagnosi poche, e legate alla sensibilità e alle conoscenze dei singoli psicologi e psichiatri. Uno dei primi a interessarsi del problema è stato lo psicologo clinico israeliano Eli Somer, dell’Università di Haifa, a cui si deve l’invenzione del termine maladaptive daydreaming.

Il suo interesse, ormai decennale, nasce dall’incontro con sei pazienti che mostravano sintomi di un fantasticare eccessivo e impellente, a cui non riuscivano a sfuggire. Da lì, la sua definizione di maladaptive daydreaming, come “eccessiva attività di fantasia che sostituisce le interazioni umane e/o interferisce con l’attività accademica, interprersonale o professionale”. La cosa che colpì il ricercatore israeliano era la frequenza e l’urgenza con cui queste fantasie si presentavano ai pazienti. E la loro complessità: spesso chi soffre di maladaptive daydreaming non si perde semplicemente nei propri pensieri, ma si trova a costruire fantasie lunghe e complicate, con una trama precisa, dei personaggi, e un ruolo per sé stesso, che la persona prova piacere nell’interpretare e nei cui panni torna a immergersi giorno dopo giorno.

Per fare un esempio, uno dei primi pazienti di Somer aveva appena affrontato la fine di una relazione sentimentale, e aveva trovato conforto continuando a mandarla avanti nella propria fantasia. Un altro era una persona estremamente sola, che viveva continuamente nella propria immaginazione le conversazioni che avrebbe voluto avere nella vita reale. I due esempi aiutano a mettere in luce anche un altro aspetto importante del maladaptive daydreaming: quasi sempre si associa a eventi traumatici, o a disturbi psicologici sottostanti come ansia, depressione, o il cosiddetto disturbo dissociativo (di cui è considerato da alcuni esperti una variante).

Sintomi e cause

Parlando di sintomi, è evidente che il principale, per parlare di sogni ad occhi aperti disadattivo, è che questi comportino un problema per il normale svolgimento delle attività quotidiane, o un senso di disagio da parte di chi ne fa esperienza. Solitamente chi soffre di maladaptive daydreaming si trova ad evitare interazioni e situazioni sociali, preferendo l’intimità e la sicurezza della propria fantasia, sviluppa problemi sul lavoro o a scuola, senso di vergogna o di colpa, ha la sensazione di non riuscire a controllare i propri sogni ad occhi aperti, e compie tentativi attivi per smettere di farne, o per ridurne la frequenza.

Fonte : Wired