Piracy Shield, la piattaforma nazionale anti-pirateria, ha già mirato al bersaglio sbagliato

Miele, che si è occupato proprio dello sviluppo tecnico di Piracy Shield, aveva spiegato anche che “un server potrebbe contenere diverse attività. Per questo è necessario a monte fare un’attività d’indagine tecnica che dia dimostrazione anche che quel server sia utilizzato esclusivamente per quel tipo di attività. Infatti non è possibile segnalare un server che presenta attività alternative a quella che viene segnalata o comunque che non siano tutte attività illecite provate. Diciamo che il server deve essere univocamente destinato a quel tipo di attività illecita e se c’è un’attività lecita non può essere bloccato”.

Serie tv e film proibiti

Non sembra, tuttavia, quello che è successo in questa tornata. Nella quale, oltre ai casi già menzionati, sono finiti anche siti di streaming di cinema e serie tv che, al momento, non dovrebbero essere nel mirino di Piracy Shield. A Wired gli uffici preposti dell’Agcom, che ha ottenuto 250mila euro dallo Stato nel 2023 per gestirla, hanno confermato che al momento la piattaforma deve intervenire solo contro lo streaming illegale di eventi sportivi live e che per allargare il raggio d’azione si dovrà passare prima da una consultazione pubblica. L’ipotesi formulata da Agcom è che i siti trasmettessero anche competizioni sportive live.

Rispetto ai siti oscurati senza motivo, l’autorità ricorda che hanno cinque giorni dall’oscuramento per promuovere ricorso. Tuttavia, la lista degli indirizzi Ip bloccati non è pubblica: vengono forniti solo numeri aggregati. L’autorità dice di agire così per ottemperare a una richiesta da parte dei detentori dei diritti degli eventi sportivi e degli Isp (oltre 250 quelli già accreditati alla virtual private network di Piracy Shield, che è ospitata su cloud targato Microsoft Azure, dei 1.800 potenziali). A Wired risulta che molti operatori di rete, invece, abbiano richiesto che l’elenco delle risorse abbattute sia reso disponibile sul sito dell’Agcom.

A causa di Piracy Shield, nei giorni scorsi un fornitore di virtual private network, AirVpn, ha annunciato di chiudere i servizi in Italia, in quanto gli adempimenti ad essa collegati risultano troppo onerosi, dal punto di vista tecnico ed economico, e perché incompatibili con la missione dell’azienda. Dal 19 febbraio i clienti che si abbonano ai servizi di AirVpn dovranno dimostrare di non essere residenti in Italia.

E poi c’è la questione Digital services act, il regolamento europeo sui servizi digitali. In merito alla presenza di app che consentono lo streaming pirata disponibile sul Play store, Google ha spiegato a DDay che Piracy Shield si applica “ai provider che forniscono accesso ai siti” e non ai servizi di hosting, come il marketplace di Big G. Risultato? Il conflitto tra il regolamento europeo, che dal 17 febbraio diventa legge per tutti e di cui Agcom è l’autorità responsabile per l’Italia, e le norme di cui si è dotato il Belpaese creano uno spiraglio che lascia veleggiare lo streaming pirata. Mentre nella blacklist rischiano di finire siti innocui.

Fonte : Wired