Ridurre i tempi di lavorazione, recuperare anche solo 100 grammi di impasto e massimizzare il profitto. Anche al costo di far perdere per sempre un braccio ad una lavoratrice di appena 26 anni, venuta in Italia dalla Romania nella speranza di assicurarsi un futuro migliore. È questo che sarebbe accaduto in un pastificio di San Vito Lo Capo, nota località balneare in provincia di Trapani, il 25 giugno del 2018, e adesso – a 6 anni dai fatti – la datrice di lavoro, titolare dell’attività di produzione di pasta fresca, V. A., 60 anni, è stata condannata a 3 anni (senza sospensione condizionale della pena) per le gravissime lesioni provocate alla giovane.
“C’erano da recuperare 100 grammi di pasta”
La sentenza è stata emessa dal giudice del tribunale monocratico di Trapani, Francesco Giarrusso, che ha accolto le richieste del pm Antonio D’Antona, che contestava all’imputata anche di non aver mai sottoposto la dipendente a una visita medica, di non averla adeguatamente formata e informata dei rischi che correva utilizzando quel macchinario – peraltro “dolosamente manomesso”, come è emerso dal dibattimento – e di non averle dato dispositivi di protezione. La lavoratrice, A. R. M., si è costituita parte civile nel processo con l’assistenza dell’avvocato Carlo Riela e dovrà essere risarcita per i danni patiti. L’incidente era avvenuto intorno alle 13.45 del 25 giugno del 2018, giorno in cui peraltro la giovane avrebbe dovuto essere libera, in quanto l’attività era chiusa. Il suo contratto di lavoro era stato formalizzato appena 23 giorni prima. In quel momento, la vittima stava pulendo l’impastatrice e, come ordinato dall’imputata, il suo compito sarebbe stato quello di recuperare i residui di pasta (100 grammi) rimasti attaccati alle pale del macchinario per poterli riutilizzare. Le sarebbe stato espressamente vietato di utilizzare un mattarello per eseguire l’operazione, in quanto questo, a dire della datrice di lavoro, avrebbe potuto “sporcare” il prodotto e renderlo quindi “inutilizzabile”.
Il braccio maciullato
La ragazza aveva quindi infilato il braccio nell’impastatrice che però si era improvvisamente messa in funzione, maciullandole l’arto. Soccorsa dai vigili del fuoco e dal 118 era stata trasportata all’ospedale Civico di Palermo, dove tuttavia non si era potuto fare altro che amputarle il braccio sinistro. Dagli accertamenti tecnici è emerso che sull’impastatrice avrebbe dovuto essere presente una griglia che per sicurezza, una volta sollevata (come nel momento in cui si esegue la pulizia), avrebbe dovuto bloccarla ed evitare appunto incidenti. “Questo sistema non funzionava – ha dichiarato uno dei tecnici in tribunale – perché la griglia era completamente fuori da ogni alloggio, non aveva più nessuna funzione di sicurezza”. Inoltre, è stato chiarito che la macchina “è fornita di un microinterruttore a garanzia della sicurezza”, ma che “il sistema era stato bypassato, quindi la macchina è stata alimentata direttamente non più attraverso il sistema di sicurezza ma attraverso il pulsante di avviamento”. E quel giorno, proprio per questi motivi, l’impastatrice “è partita da sola”, mentre la lavoratrice aveva il braccio all’interno. È stata esclusa “l’accensione della macchina a coperchio aperto” ed è stata pure accertata la totale assenza di documenti legati alla manutenzione obbligatoria dell’impastatrice, prodotta nel 2002. In sostanza, per velocizzare i tempi di produzione, la macchina sarebbe stata manomessa e a discapito della sicurezza di chi l’utilizzava.
Costretta a lavorare vicino alla pala
Per non perdere neanche un grammo di impasto, la giovane lavoratrice – senza alcuna formazione e dispositivo di protezione – sarebbe stata costretta a infilare il braccio vicino alla pala. La vittima – che dovrà ancora subire interventi chirurgici e alla quale non è stato ancora possibile impiantare una protesi – ha spiegato lei stessa che “questa grata era sempre aperta, perché non funzionava” e che la titolare dell’attività “metteva l’impasto con la macchina accesa”, per recuperare tempo prezioso. Quando la giovane avrebbe chiesto, per sicurezza, di poter pulire il macchinario staccando la corrente, sarebbe stata aspramente rimproverata: “Se tu togli ancora la spina ti butto fuori”, le avrebbe detto l’imputata. Nell’immediatezza dei fatti, quando era sotto choc e anche sotto l’effetto di pesanti sedativi, la ragazza avrebbe dichiarato di essere scivolata e di aver azionato accidentalmente la macchina, ma come hanno dimostrato gli accertamenti tecnici, se i sistemi di sicurezza non fossero stati alterati, l’incidente non si sarebbe comunque verificato. Da qui la condanna della datrice di lavoro.
Fonte : Today