Cos’è lo stress da YouTube, come si cura e come si evita: i consigli di Fjona Cakalli e dei The Show

Matthew Patrick (la mente dietro a The Game Theorists, 19 milioni di iscritti), CaptainSparklez (11,5 milioni di follower), Stampy (quasi 11 milioni), Tom Scott (6,5 milioni), Seth Everman (4,2 milioni), Papa Meat (2 milioni): sono tanti, e soprattutto sono parecchio grossi, gli youtuber che nelle ultime settimane hanno annunciato l’intenzione di lasciare la piattaforma. Di andarsene da YouTube, perché YouTube si stava mangiando le loro vite.

Della questione hanno parlato anche molti loro colleghi, come il noto Marques Brownlee, forse il più celebre fra gli youtuber che si occupano di tecnologia (video qui sotto), e anche Shelby Church, di cui su queste pagine abbiamo scritto spesso, a ulteriore dimostrazione che quello del creator non è un lavoro facile come si pensa e che non basta accendere la videocamera o lo smartphone, mettersi davanti all’obiettivo e dire qualcosa. È un lavoro stressante, per certi versi anche più di quelli tradizionali.

Di seguito cerchiamo di capire che cosa sta succedendo, quali sono le ragioni di tutti questi addii annunciati, come la pensano un paio di youtuber italiani e anche che cosa stia eventualmente facendo YouTube per risolvere i problemi.

youtube: il video di MKBHD su “andarsene da YouTube”

I 4 rischi dell’essere youtuber

Le obiezioni sollevate dai vari creator sono simili fra loro e sono soprattutto di 4 tipi: hanno a che fare con l’impegno richiesto, con il modo in cui il lavoro è cambiato e anche con la concorrenza.

La prima e la principale è che “YouTube era diventato la mia vita”: sia Matthew Patrick sia Tom Scott, per esempio, hanno raccontato di quanto sia difficile staccare la mente da questo lavoro, anche nel tempo libero, e di come andassero a cena con gli amici, con la fidanzata, con la moglie o con i colleghi e alla fine si ritrovassero a parlare sempre di YouTube e solo di YouTube, di come stava andando il canale, dei soldi guadagnati, delle idee per un nuovo video, della difficoltà nel realizzarlo e così via. Come se un qualsiasi impiegato continuasse a pensare all’ufficio anche dopo essere uscito dall’ufficio, anche in palestra, in coda per entrare a un concerto, al cinema: è evidentemente stressante.

Collegato a questo c’è il fatto che, nel tempo e anche per contrastare la concorrenza sempre più agguerrita, YouTube sia diventato “too demanding”, cioè troppo impegnativo. Tre volte: dal punto di vista tecnico, con la necessità di attrezzature sempre migliori e sempre aggiornate per girare in 4K, avere le luci giuste, l’audio perfetto, l’inquadratura mozzafiato; dal punto di vista dei contenuti, che ogni giorno sono talmente numerosi da rendere sempre più difficile emergere se non ci si inventa qualcosa di dirompente; dal punto di vista del tempo, visto che ormai per un video di qualità e che abbia la possibilità di funzionare possono servire anche 30 ore di lavoro (se non addirittura 2-3 giorni, come lo scorso novembre ci raccontò l’italiano Manuel Mercuri).

Un’altra faccia dell’essere “too demanding” è che la vita da youtuber starebbe diventando diversa da quella che era una volta, soprattutto se si ha successo: è un problema collegato alla crescita del canale, alle collaborazioni con le aziende e ai contenuti sponsorizzati (che sono poi quelli da cui arrivano i soldi veri). Molti lamentano il fatto di passare più tempo a rispondere alle mail, a gestire i collaboratori, a leggere contratti, a dare retta alle richieste dei vari brand e a occuparsi della contabilità e delle tasse che a girare video e dare libero sfogo alla propria creatività. Che anche si starebbe spegnendo e inaridendo.

Infine c’è il problema delle troppe piattaforme presenti sul mercato e dal desiderio/necessità di essere su tutte, che da un lato è positiva (così “non metti tutte le uova nello stesso paniere”, come ha ricordato la giovane Shelby Church) ma dall’altro costringe a ulteriore lavoro supplementare, perché il video creato per il canale principale su YouTube non va bene per YouTube Shorts, è troppo lungo per TikTok, non è del formato giusto per Instagram e così via. E quindi lo stesso lavoro finisce per dover essere fatto due volte, tre volte, quattro volte.

Fjona Cakalli

“Diversificare e parlarsi”: la ricetta di Tech Princess

Su questa cosa, una che vede il bicchiere mezzo pieno è senza dubbio Fjona Cakalli, che oltre 10 anni fa ha messo da sola le basi di quello che sarebbe diventato Tech Princess, un canale YouTube (ma non solo) che oggi ha 135mila iscritti: “Diversificare è importante, soprattutto per non essere totalmente in balìa dell’algoritmo di un’unica piattaforma”, ci ha spiegato al telefono.

È un concetto che lei decisamente ha preso alla lettera, visto che la sua azienda dà lavoro a circa 40 persone, con contenuti presenti su YouTube, TikTok, Instagram e altri social network e si occupa di eventi, consulenze e televisione: “Fare video per me è ancora divertente, stimolante e non stressante, ma lo è perché non è l’unica cosa che faccio – ci ha detto ancora – Se dovesse diventare fonte di stress, potrei farlo con più calma, rallentare, mettermi a fare altro. Appunto perché ho anche altro da fare”.

Nonostante questo, Fjona ci è sembrata ben conscia del problema e del rischio burnout che può riguardare anche le e gli youtuber: “Diciamo che è una cosa cui sono scampata, che mi ha preso di striscio e che sono riuscita a evitare – ci ha detto con un sorriso – E l’ho fatto proprio perché ho potuto diversificare, parlando non solo di videogiochi, ma anche di smartphone, di tecnologia in generale e di auto, ampliando i miei orizzonti e dunque anche la mente. Però decisamente capisco la preoccupazione”.

Per lei, i modi per non cadere nel baratro sono soprattutto due (tre, contando la diversificazione di contenuti e piattaforme): confrontarsi con gli altri e delegare. Innanzi tutto, “il lavoro di squadra è fondamentale, anche psicologicamente”, perché “fare tutto da solo, pensare, girare, montare e valutare un video, è in effetti stressante: l’unico confronto non può essere quello con il pubblico, che non può essere l’unico giudice perché sa essere cattivo, spietato, violento”. E quindi è “decisivo parlare con gli altri, confrontarsi con altri youtuber, magari fare cose insieme anche per affrontarle con approcci diversi”. Allo stesso modo, e sempre perché “essere uno youtuber è un lavoro e un’impresa vera e propria”, è importante che ognuno faccia quello che sa fare: “C’è chi sta davanti alla videocamera e chi gestisce le mail, la contabilità, i collaboratori, ognuno fa il suo e tutti fanno quello che sanno fare meglio”. Ma così non si guadagna di meno? “Sicuramente sì, ma si vive più sereni”.

youtube: un video recente dei The Show

I The Show: “Oggi la concorrenza è spietata”

Quelli di The Show hanno scelto un modo diverso per ridurre il rischio di stress e di ansia da prestazione, come ci hanno raccontato Alessio Stigliano e Alessandro Tenace, storici fondatori del canale, che oggi conta oltre 4 milioni di iscritti: “Nel 2021 abbiamo aperto il nostro canale in abbonamento, chiamato The Show Plus, convinti che i contenuti finanziati direttamente dal pubblico siano più soddisfacenti per il pubblico stesso, rispetto a quelli finanziati dalla pubblicità”. Tre anni dopo, il canale ha una media di 15mila abbonati unici mensili paganti (ma “con picchi di 24mila”) e soprattutto “la certezza degli incassi derivanti dagli abbonamenti, rispetto all’incertezza del mercato pubblicitario, ci ha permesso di pianificare al meglio il lavoro e realizzare vere e proprie serie esclusive per gli abbonati, con episodi che durano da 30 minuti a un’ora, oltre che aumentare la qualità e la durata dei contenuti gratuiti”.

Secondo Stigliano e Tenace, la cui società oggi dà lavoro a 15 persone tra collaboratori e dipendenti, è comunque vero che “la concorrenza per emergere su YouTube oggi è spietata e non paragonabile a 10 anni fa, con pubblico più smaliziato che pretende contenuti di qualità infinitamente maggiore rispetto a quelli che potevano funzionare agli albori” ma anche è vero che “gli strumenti sono migliori e più economici”, nel senso che “oggi uno smartphone è una videocamera di grande qualità” e che “le tecnologie disponibili, come l’IA, democratizzeranno sempre di più i processi della creatività”. Che è un aspetto di cui su Italian Tech scriviamo ormai da quasi un anno.

Parlando di stress, secondo i The Show ci sarebbe comunque una grande e significativa differenza fra YouTube e le altre piattaforme (che però restano “fondamentali per ampliare il business”): YouTube, oltre a essere stata la prima, è anche “quella che più tutela i creator, grazie anche all’importanza che ancora rappresentano i contenuti long form da più di 10 minuti”, mentre “allo stress maggiore sono indubbiamente sottoposti i colleghi che lavorano su piattaforme che prediligono contenuti brevissimi, con una competitività altissima, oppure contenuti in diretta, che di fatto diventano nei casi più estremi un vero e proprio lavoro a cottimo”.

Questo non significa che su YouTube rischi non ce ne siano: “Il burnout è un tema molto serio, per cui siamo i primi ad aver impostato il lavoro in modo che tutto il team viva bene il tempo in azienda”, ci ha spiegato Tenace. Dal canto suo, Stigliano si è detto d’accordo con Fjona sull’importanza del non essere soli e del dividere i compiti: “Nel nostro caso, ci ha molto aiutato essere in due fin dall’inizio”, perché “quando uno dei due perdeva la motivazione, c’era l’altro pronto a farlo tornare in carreggiata”; inoltre, “non lavorare mai da soli ci ha fatto capire subito come un talento da solo non batterà mai una squadra magari meno talentuosa, ma affiatata e ben organizzata”. Ed è per questo che “non senza fatica, abbiamo imparato a delegare e oggi ciò di cui siamo più contenti è proprio la squadra che abbiamo messo in piedi”.

Francesca Mortari, YouTube director per il Sud Europa

Mortari (YouTube): “Fieri di ciò che abbiamo costruito”

Nonostante che sia tornato di grande attualità in queste settimane, quello del burnout e dello stress dei creator non è un argomento nuovo per YouTube, tanto che già nel 2019 il sito aveva preparato una ricca pagina di aiuto dedicata proprio a questo tema (che è ancora accessibile online): “Essere un creator indipendente non è un lavoro facile, ma vogliamo dimostrare che abbiano gli strumenti di cui le persone hanno bisogno per costruire carriere prospere e a lungo termine sulla nostra piattaforma”, ci ha confermato l’italiana Francesca Mortari, responsabile di YouTube per la zona Southern Europe.

Ancora: “Disponiamo di meccanismi di supporto e continuiamo a costruire una community che consenta ai creator di prosperare in base alle loro esigenze individuali, ai bisogni e alle aspirazioni aziendali”, che è il motivo per cui, “per garantire che sia possibile prendersi una pausa quando i creator ne hanno bisogno, i nostri strumenti di ricerca e scoperta sono progettati per riflettere l’interesse degli utenti a lungo termine” e “non tengono conto della frequenza di caricamento o delle prestazioni dei video passati quando consigliano quelli nuovi agli utenti”.

Durante la nostra breve conversazione, Mortari ci è parsa (comprensibilmente) restia ad ammettere che YouTube abbia problemi di creator che se ne vanno o di favoritismi nei confronti di contenuti esagerati, eccessivi, sopra le righe, che è invece una lamentela comune fra i creator che non arrivano al livello di MrBeast. O dei The Borderline, giusto per citare un caso tragico e delicato.

Mortari ci ha fatto notare anzi che “i nostri sistemi di raccomandazione non svantaggiano i canali in base ai contenuti né lo fanno quando interrompono il caricamento”, magari appunto per prendersi una pausa e sfuggire allo stress. E in effetti quello di fermarsi per un po’ sembra l’unico consiglio diretto e concreto che arriva dalla piattaforma, che è cambiata tanto nell’ultimo decennio anche perché “è cambiato il mondo: fra anni pandemici, guerre e crisi climatica, c’è stata una vera e propria evoluzione nella creazione e nel consumo di contenuti”. Che appunto ha portato YouTube a modificarsi: “Abbiamo dovuto adattare i nostri prodotti a molte esigenze, in primis quelle dei nostri creator, dall’introduzione di Shorts agli aggiornamenti al programma partnership nel 2022, che hanno permesso anche a chi fa video brevi di cominciare un percorso di monetizzazione, e poi quelle degli utenti”.

Al netto delle dichiarazioni delle varie parti in causa, la sensazione è il 2024 sarà un anno delicato e forse anche complicato per YouTube, con le lamentele (anche degli youtuber) per l’eccesso di pubblicità, TikTok che vuole rubare i creator con l’apertura ai video da 30 minuti e Musk che vuole fare la stessa cosa dimostrando che su Twitter si può guadagnare tanto. Mortari non ci è sembrata preoccupata: “Ci deve essere qualcosa di buono quando qualcuno vuole rubare qualcosa, e siamo lieti che gli altri notino un tale interesse – ci ha detto con apprezzabile leggerezza – Ma una cosa è chiara: YouTube non è un social media. È molto diversa in termini di ecosistema, di formati, di linee guida della community e molto altro. Le persone vengono su YouTube per motivi diversi. E siamo orgogliosi di ciò che abbiamo costruito finora”.

@capoema

Fonte : Repubblica