“Chi decide chi può vivere?”. Sara ce lo confida con la voce rotta dalla preoccupazione per il padre 70enne. Dallo scorso novembre la sua famiglia vive con la spada di Damocle di una diagnosi confermata da due oncologi, il primo a Trento e il secondo a Milano: adenocarcinoma polmonare, il più comune tra i tumori maligni del polmone. Una malattia subdola, che inizialmente si presenta senza sintomi gravi, almeno in apparenza. Cellule epiteliali impazzite che proliferano nei tessuti polmonari in maniera incontrollata. Inizia con una tosse secca e duratura, poi l’affanno e la debolezza che si prende il corpo mentre la malattia progredisce.
Chi ha convissuto con una malattia tumorale è consapevole che la sopravvivenza è legata alla rapidità con cui vengono intraprese le cure. Occorre evitare che il tumore arrivi al IV stadio e che uscendo dall’organo malato, le metastasi vadano in giro per il corpo. Inizia così subito la terapia della cosiddetta prima linea, quella standard che prevede chemioterapia e immunoterapia. Ma durante gli esami diagnostici l’analisi molecolare condotta a Verona dopo la Pet e la Tac riscontrano una particolarità. Il paziente risulta positivo a una mutazione genetica denominata KRAS G12C. La proteina K-Ras è implicata nel controllo dei processi di proliferazione cellulare e, se mutata, rimane perennemente in uno stato attivo determinando la crescita delle cellule tumorali. In pratica la proliferazione del tumore.
Quella che a prima vista può apparire una digressione complicata è invece importante perché rende tutta la vicenda surreale. Le mutazioni del gene KRAS si osservano in circa il 30% dei casi di diagnosi di adenocarcinoma e si osserva tipicamente nei non fumatori. Cosa vuol dire? Chi, in assenza di altri fattori di rischio, sviluppa un tumore ai polmoni è probabilmente a causa di questo gene che fa impazzire le cellule. Non solo: vi sarebbe una cura.
Sotorasib, il farmaco contro il cancro introvabile in Italia
Nel 2021 due farmaci che inibiscono gli effetti della mutazione hanno ottenuto un primo riconoscimento da parte della Food and drug administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici. Si tratta del sotorasib e del adagrasib, farmaci che avrebbero la capacità non solo di stabilizzare la malattia, ma anche di farla regredire.
Secondo i dati del più grande studio clinico condotto finora, nel 36 per cento dei pazienti trattatati con sotorasib si è registrata una riduzione del tumore, ma nell’81 per cento dei casi ha facilitato il controllo della malattia nonostante i pazienti che hanno partecipato allo studio presentassero tumori aggressivi già in stadi avanzati. Adagrasib dimostrerebbe risultati ancora più promettenti nelle prime sperimentazioni, ma ancora da validare con uno studio di fase III. Insomma il sotorasib ha rappresentato una speranza per combattere una mutazione così frequente e mortale considerata inattaccabile dai farmaci in commercio. Ma se il farmaco definito pietra miliare dell’oncologia c’è, è impossibile trovarlo in Italia.
Come ci spiega Dea Anna Gatta, presidente dell’associazione no profit Alcase Italia che aiuta legalmente i pazienti oncologici, il farmaco viene utilizzato praticamente in tutta Europa, mentre in Italia la procedura prevede che dopo la diagnosi oncologica si preveda una prima linea di trattamento “standard” con farmaci chemioterapici e/o immunoterapia, solo in seconda linea può venire proposto un trattamento con un farmaco molecolare come il sotorasib.
“L’oncologo ce lo ha detto chiaro e tondo, si scordi il sotorasib” racconta a Today.it la figlia di un paziente in cura a Trento. “Eppure basta andare in Germania ed è disponibile, ma anche a Roma, appena oltre le mura della Città del Vaticano. Una speranza di cura così vicina, ma che viene negata ai pazienti” denuncia la donna che ha lanciato un appello online su Change.org raccogliendo quasi 50mila firme. “Sono pronta ad andarlo a comprare in Germania, ma chi può permettersi di pagare 4mila euro al mese per il trattamento (la dose iniziale è di 8 pillole al giorno, 960 mg di farmaco, ndr)”.
Ma perché se c’è un farmaco che può contribuire a contrastare la malattia (garantendo il 33 per cento di sopravvivenza a due anni dalla diagnosi) non è disponibile nel nostro paese? Per fare chiarezza abbiamo chiesto informazioni all’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e alla Amgen farmaceutica che ha chiesto l’autorizzazione per l’immissione in commercio del sotorasib con il nome commerciale di Lumykras. Iniziamo dunque facendo un passo indietro.
Dopo il parere positivo dell’agenzia europea (Ema) il 6 gennaio 2022 la Commissione Europea ha autorizzato l’uso del farmaco. In Italia attualmente è possibile ottenere il sotorasib solo attraverso l’accesso a un programma ad uso nominale. Secondo quanto riferito da Amgen la casa farmaceutica ha sottoposto ad Aifa la richiesta di rimborsabilità subito dopo l’approvazione da parte di Ema.
“La procedura di rimborso ha richiesto un’estensione dei tempi per la necessità da parte dell’ente regolatorio di valutare ulteriori dati provenienti dallo studio di fase III CodeBreak 200, ancora in corso al momento della domanda di rimborsabilità” spiegano dalla casa farmaceutica. Secondo quanto si apprende tale richiesta sarebbe sopraggiunta lo scorso il 31 marzo 2023.
“Amgen ha fornito tutte le evidenze richieste non appena disponibili al fine di proseguire velocemente l’iter negoziale” spiegano dalla azienda farmaceutica a Today.it che assicura come l’iter approvativo con Aifa sia alle sue battute finali.
Il farmaco contro il cancro fermato dalla burocrazia
Come ricorda Amgen sotorasib da marzo 2023 è disponibile in Italia in classe CNN e gli ospedali possono approvvigionarsene privatamente. Si tratta di una procedura destinata a farmaci già approvati dall’Ema, ma non ancora negoziati dall’agenzia italiana del farmaco ai fini della rimborsabilità del Servizio sanitario nazionale. Pertanto possono essere forniti dagli ospedali solo se la commissione regionale competente ne ha approvato l’uso. Una stortura della conversione in legge del Decreto Balduzzi che invece prevedeva l’immediata immissione sul mercato del medicinale, evitando così ritardi spesso causa di contenziosi giuridici nazionali e/o comunitari.
La stessa legge – come si legge in questo documento di Aifa – prevedeva in 180 giorni il termine per la conclusione della procedura di contrattazione del prezzo dalla dati di immissione in commercio. L’agenzia del farmaco interpellata sul caso non ha risposto al momento della pubblicazione di questo articolo.
Perché le nuove nomine all’Aifa stanno facendo discutere
“A tutela dell’interesse dei pazienti, Amgen è fiduciosa di concludere rapidamente l’iter di rimborsabilità per sotorasib – spiegano dalla casa farmaceutica – se l’ospedale presso cui il paziente è in cura, avesse bisogno di qualsiasi informazione o di fare richieste speciali, può contattarci al seguente indirizzo: medicalinformationitaly@amgen.com”.
“È assurdo che un farmaco sia disponibile ma per lungaggini burocratiche non possa essere usato negli ospedali” racconta Sara a Today.it: “Persone che ne hanno bisogno non possono aspettare, chi decide chi può vivere? Una paziente di Reggio Emilia è venuta a mancare pochi giorni fa, quando il farmaco sarà disponibile lei non ci sarà più”.
Fonte : Today