Pierfrancesco Favino ci racconta che rapporto c’è tra tecnologia e narrazione

Nel contesto della presentazione della nuova Bmw iX2 a Milano, abbiamo incontrato Pierfrancesco Favino, uno dei talenti più rinomati del cinema italiano, che è anche volto del marchio automobilistico tedesco. D’altronde – non tutti lo sanno – ma Favino è un appassionato di tecnologia. Quale occasione migliore, allora, per metterlo alla prova.

Gira voce che sei un nerd della tecnologia: smentisci o confermi?
“No dai, nerd no. Però non ho mai avuto paura della tecnologia. Sono sempre stato attento ai cambiamenti, soprattutto al modo in cui modificano la narrazione. C’è una correlazione tra il cambio del modo di raccontare e gli strumenti che abbiamo a disposizione. Se cambi le abitudini di spazio e tempo delle persone è ovvio che metti in discussione gli assi fondamentali del racconto”.

Nell’ambito cinematografico il rapporto con la tecnologia può anche essere problematico. Penso agli scioperi di sceneggiatori e attori negli Stati Uniti per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sia nell’ambito della scrittura, sia per l’utilizzo delle immagini degli attori. È un tema che ti preoccupa?
“Io penso che qualsiasi rivoluzione tecnologica debba essere accompagnata da tutele lavorative. Sono affascinato dalla capacità dell’essere umano di vedere ciò che ancora non esiste: inclusa la tecnologia. Se siamo arrivati a questo punto è perché qualcuno ha intuito qualcosa che agli altri non era ancora visibile. Non so se le macchine o l’intelligenza artificiale arriveranno a qualcosa di ancora più complesso; probabilmente ci arriveranno, però ci sarà sempre qualcosa che rimarrà irreplicabile: la profondità dell’occhio umano“.

Non ci sarà mai un fraintendimento tra reale e digitale?
“No, questo no. Facciamo un esempio: la capacità di sintetizzare i suoni, che ha generato un tipo di musica impensabile anni fa, ha portato molte persone, oggi, a riprendere in mano il vinile. Questo perché se ascoltato in un certo modo, il supporto fisico è in grado di restituire delle cose che altrimenti non sentiresti. La cosa brutta è quando l’orecchio umano si disabitua a percepire quella differenza dandola per scontata. Lì sì, mi spavento.”

A proposito di audio: grazie all’intelligenza artificiale si traducono podcast stranieri e si replicano voci. Che impatto ti immagini possa avere nella recitazione o nel doppiaggio?
“Penso che in realtà potrebbe anche essere un’occasione. Pensa per esempio alle possibilità per un attore non anglofono di affermarsi nel mercato americano. Però – diciamoci la verità – il problema non è la lingua. La comunicazione verbale non ha a che fare solo con i vocaboli, ma con un complesso sistema che non è riducibile al solo significato delle parole. C’è il respiro, i movimenti del corpo, le pause, l’intenzionalità. Non basta tradurre, si perde l’apporto culturale che la presenza di un attore, in quel momento, col suo respiro e la sua figura è in grado di dare. E questo riguarda anche il doppiaggio. Io non credo che quello sia un viatico alla vera espressione attoriale. Oggi vediamo film giapponesi diretti da tedeschi, film tedeschi diretti da inglesi, film francesi recitati in inglese e tedesco: io credo che il problema sia solo nostro. Il tedesco non è più parlato dell’italiano. È un problema di industria che non riesce a imporre se stessa a livello globale. E la colpa non è dell’intelligenza artificiale“.

Ti è capitato di ricorrere a tecnologie particolari per preparare alcuni ruoli?
“Per ascoltare meglio le voci di Buscetta e di Craxi ed entrare meglio nei personaggi mi sono comprato delle cuffie australiane con un software con cui regolare l’ascolto che mi permettevano di percepire il respiro di questi personaggi. È stato fondamentale per calarmi nella parte. Volevo godere dei dettagli che non avrei altrimenti sentito. Sempre per Buscetta ho fatto una cosa simile anche sui video. Spesso veniva intervistato in penombra. Quindi ho regolato il contrasto per cercare di intercettare più espressioni facciali, cercare di vedere il più possibile quello che altrimenti non sarebbe stato possibile vedere”.

C’è un film candidato all’Oscar, Io Capitano di Matteo Garrone. Ci sono possibilità di vittoria?
“Io voto perché faccio parte dell’Academy, quindi più di tanto non mi posso sbilanciare. Però sono assolutamente convinto che Matteo abbia delle buone possibilità. Se la gioca con un altro titolo, secondo me. Stiamo a vedere…”

Fonte : Wired