Badland Hunters Recensione: un post-apocalittico avvincente su Netflix

Per parlare di Badland Hunters bisogna partire da una premessa e contestualizzarlo insieme all’opera di cui è libero sequel, ovvero Concrete Utopia (2023), uscito in patria soltanto qualche mese prima. Un primo capitolo che si poneva come adattamento del webtoon Pleasant Outcast di Kim Soongnyung, ambientato in una Seoul teatro di un devastante terremoto che ha provocato uno spaventoso numero di vittime e distrutto la maggior parte del centro abitato, lasciando soltanto un condominio completamente intatto.

Proprio quell’insieme di edifici era diventato il luogo di una serrata resa dei conti tra i residenti e coloro che cercavano un nuovo posto dove vivere, trasformando le dinamiche tipiche del surival-movie dal taglio catastrofico in un dramma sociale sul crollo della civiltà, dove anche le persone più miti, messe alle strette, si ritrovavano a tirare fuori il peggio da loro stesse pur di salvaguardare la propria sopravvivenza e porsi sempre un passo avanti rispetto agli altri. Questo seguito è invece stato distribuito direttamente da Netflix, nel cui catalogo figura come original, e come vedremo sin dalla sinossi a livello di atmosfere si distanzia parecchio dal suo predecessore.

Badland Hunters: la caccia è aperta

In un contesto che ha ormai assunto contorni post-apocalittici, Nam San e Choi Ji-wan sono due cacciatori che si muovono in un mondo allo sbando, cercando di procurarsi selvaggina da usare come merce di scambio nella piccola comunità di sopravvissuti dove vivono in uno stato brado e selvaggio, dovendo fare anche i conti con banditi e razziatori che imperversano in zona. Un giorno la diciottenne Su-na e sua nonna vengono contattate dagli agenti di una misteriosa agenzia che promette loro un posto sicuro dove stare, un luogo dove i più giovani vengono selezionati per garantire un roseo futuro a ciò che resta dell’umanità; dietro la facciata però si nasconde una realtà ben più crudele.

L’anziana viene infatti uccisa senza pietà, mentre Su-na scopre che il suo destino è quello di servire – insieme ad altri suoi coetanei reclutati in giro per il Paese – come cavia per gli esperimenti del folle scienziato Yang Gi-su, alla ricerca di una formula per l’immortalità. Scoperta la verità su quanto attende effettivamente la loro giovane amica, Nam San e Choi Ji-wan si mettono in viaggio in compagnia di un’ex soldatessa redenta nella speranza di salvarla e porre fine a quelle subdole pratiche disumane, ritrovandosi a fare i conti con militari geneticamente modificati.

Un intrattenimento senza mezze misure

Avrete intuito che la trama assume in quest’occasione un tono più ludico che guarda agli stilemi di certo cinema fantastico, con tanto di avversari potenzialmente immortali che guardano all’iconografia classica dei morti viventi, capaci di subire ferite enormi e vistose senza paventare alcun dolore. E d’altronde nella prima sequenza uno dei protagonisti affronta a mani nude addirittura un gigantesco coccodrillo, staccandogli la testa di netto, all’insegno di un impianto più votato all’intrattenimento rispetto al previsto.

Un’operazione che convince nella sua anima action e avventurosa ma non altrettanto nella gestione di una sceneggiatura che a tratti si fa troppo timida nell’approcciarsi al genere, proponendo un aggiornamento dei canonici topoi senza originalità, all’insegna di un compitino che prende qua e là da svariati titoli per andare a colpo sicuro. Gli stessi personaggi principali sono caratterizzati su figure archetipiche, dal giovane arciere innamorato della bella ma combattiva rapita dallo scienziato pazzo in cerca di una cura per resuscitare la figlia morta, dalla donna soldato esperta di arti marziali al duro dal cuore d’oro pronto a prendere sempre la situazione in mano.

E se questi ha la massiccia fisicità di Don Lee – alias Ma Dong-seok – ormai star conclamata del cinema di genere e blockbuster coreano, il divertimento non manca: il corpulento attore “mena come un fabbro” e dopo Train to Busan (2016) si ritrova di nuovo a prendere a cazzotti individui simil-zombie: se volete sapere di cosa stiamo parlando, recuperate la nostra recensione di Train to Busan, tra i film di morti viventi più memorabili dello scorso decennio.

La carica melodrammatica è asservita a una retorica relativamente banale ma ad ogni modo efficace per attecchire sul grande pubblico, con tanto di colonna sonora d’ordinanza e buone scene di massa, che fanno affidamento su un notevole numero di comparse, e d’azione, fino alla provvidenziale pioggia di chiusura, che conduce lo spettatore verso un parziale lieto fine, assai meno amaro rispetto a quello del succitato Concrete Utopia. A tal proposito i riferimenti e i collegamenti tra le due pellicole si esauriscono nello spunto iniziale, con pochi altri elementi in comune non soltanto dal punto di vista narrativo ma anche da quello stilistico, forse per via del cambio in cabina di regia che vede il più esperto Um Tae-hwa sostituito dal qui esordiente Heo Myung-haeng, il cui passato da coordinatore degli stunt si fa sentire ampiamente a livello di messa in scena.

Per altri film recentemente usciti nel catalogo della piattaforma di streaming, recuperate la nostra rubrica sulle uscite cinematografiche di Netflix di gennaio 2024.

Fonte : Everyeye