Dopo quattro mesi di tolleranza pressoché totale nei confronti dell’operazione militare di Israele nella Striscia di Gaza, sta salendo la pressione internazionale sul governo di Benjamin Netanyahu affinché non dia seguito all’annunciato assalto finale a Rafah, la città più meridionale dell’enclave palestinese, al confine con l’Egitto. Qui sono ammassati 1,4 milioni di palestinesi fuggiti dalla guerra. Gran parte di queste persone stanno vivendo in tende e campi profughi costruiti in fretta e furia, ne quali mancano non solo scorte alimentari e medicine, ma molto spesso tutti i più basilari servizi.
Il premier israeliano ha chiesto all’esercito di preparare un piano per la loro evacuazione prima di partire con l’attacco. “E dove dovrebbero andare, sulla Luna?”, si è chiesto l’Alto rappresentante per la politica Estera Ue, Josep Borrell. E il punto è proprio questo: per i civili palestinesi non c’è più un posto sicuro in cui scappare. Tel Aviv sostiene che quattro brigate di Hamas sarebbero presenti a Rafah, nascosti tra la popolazione: in un raid effettuato ieri, 12 febbraio, sono morte almeno 74 persone, in gran parte civili tra cui donne e bambini. E questo è solo un assaggio di quello che potrebbe avvenire con una operazione in larga scala.
L’esercito israeliano libera due ostaggi a Rafah: il video dell’operazione
Il conflitto in corso a Gaza è iniziato dopo un attacco senza precedenti da parte di un commando di Hamas: lo scorso 7 ottobre miliziani sono infatti entrati nel sud di Israele dalla Striscia, uccidendo oltre 1.160 persone – la maggior parte civili – e rapendo circa 250 persone. La successiva offensiva israeliana nella Striscia di Gaza – volta alla liberazione degli ostaggi e alla neutralizzazione di Hamas – ha causato finora 28.473 vittime nella Striscia, la maggior parte delle quali civili, con migliaia di persone ancora disperse, che sono rimaste ferite e a cui si deve aggiungere un numero senza precedenti di bambini rimasti orfani o traumatizzati. Dopo che, lo scorso novembre, la tregua di una settimana ha portato al rilascio di 105 ostaggi in cambio di 240 palestinesi detenuti da Israele, almeno 130 ostaggi resterebbero ancora prigionieri di Hamas nella Striscia. E secondo Tel Aviv sarebbero proprio detenuti a Rafah.
La situazione a Rafah
Prima della guerra vivevano a Rafah 275mila persone ed era una delle zone più densamente popolate della Striscia. Oggi, dopo quattro mesi di guerra, sempre più persone si accalcano in quei 64 chilometri quadrati che Israele aveva denominato “Safe zone”, ovvero un’area in cui non vi sarebbero state incursioni militari. Le condizioni umanitarie sono al limite: secondo alcuni calcoli ci sono circa 22mila palestinesi in ogni chilometro quadrato. Gli sfollati vivono nelle strutture dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Tuttavia la stessa Unrwa sta operando con difficoltà: 150 membri del suo personale sono stati uccisi negli attacchi israeliani, mentre gli aiuti umanitari arrivano col contagocce, e molti governi occidentali hanno ritirato i finanziamenti dopo le accuse piovute sulla complicità di membri della stessa agenzia all’attacco del 7 ottobre.
Fuggire dove? L’Egitto chiude le porte
Molti palestinesi di Rafah sono stati sfollati più volte nel corso della guerra, e già hanno dichiarato che non si sposteranno di nuovo, qualunque cosa accada. Anche perché se pure volessero fuggire non si capisce bene dove dovrebbero farlo, come ha sottolineato l’Alto rappresentante per la politica Estera Ue, Josep Borrell. Diversi esponenti del governo israeliano hanno auspicato che i palestinesi sfollati dalla Striscia di Gaza vadano in Egitto. Ma né Il Cairo li vuole accettare, né i palestinesi vogliono andarci, perché sanno che se lo facessero potrebbero non poter tornare mai più.
Le città egiziane più vicine, come Sheikh Zuweid o Al-Arish, dovrebbero gestire un esodo enorme senza disporre delle forze e delle infrastrutture necessarie. I palestinesi temono che stia per accadere una nuova “Nakba” (catastrofe in arabo), come quando 700mila di loro furono espropriati delle loro case con la creazione di Israele nel 1948. Molti furono cacciati o fuggirono negli Stati arabi confinanti, tra cui Giordania, Siria e Libano, e lì in gran parte continuano a vivere, con i propri discendenti, in campi profughi.
L’Egitto intanto ha mobilitato carri armati e mezzi corazzati al confine con la Striscia di Gaza per fermare qualsiasi potenziale ricaduta di un assalto terrestre israeliano, avvertendo che qualsiasi assalto di terra israeliano a Rafah avrebbe “conseguenze disastrose” e che l’obiettivo di Israele di costringere i palestinesi a lasciare la loro terra minaccerebbe i 40 anni di accordi di pace intercorsi dopo Camp David tra i due Paesi.
I rischi di un’estensione del conflitto, che dall’Egitto avrebbe conseguenze a catena nella regione, sono più che concreti. Durante un incontro con il presidente statunitense, Joe Biden, il re di Giordania Abdullah, uno dei più importanti partner di Washington nella regione, ha dichiarato che un’invasione israeliana di Rafah “produrrà sicuramente un’altra catastrofe umanitaria”. “La situazione è già insopportabile per oltre un milione di persone che sono state spinte a Rafah dall’inizio della guerra”, ha dichiarato Abdullah. “Non possiamo stare a guardare e lasciare che tutto questo continui. Abbiamo bisogno di un cessate il fuoco duraturo, ora. Questa guerra deve finire”.
Fonte : Today