L’Ue vuole il diritto alla riparazione per gli smartphone, ma ‘discrimina’ tablet e cuffiette

A chi non è mai capitato che lo smartphone smettesse di funzionare dopo due anni e magari con la garanzia già scaduta? Tutti sappiamo che, in questi casi, spesso è più facile (e conveniente) comprare un nuovo telefono piuttosto che farlo riparare. Questa pratica, figlia del consumismo, non è più tollerata dall’Unione europea, che nel solo 2021 ha contato 13mila tonnellate di rifiuti elettronici in casa propria. Lo scorso due febbraio Parlamento e Consiglio hanno raggiunto un accordo provvisorio su un tema caro all’economia circolare, riassumibile nella nota espressione “diritto alla riparazione” (right to repair). 

Basta smartphone da cambiare o buttare al primo problema, arriva il diritto alla riparazione

Secondo alcune organizzazioni ambientaliste, però, la legge presenterebbe delle falle evidenti, prima fra tutte il fatto di coprire soltanto alcuni prodotti, come gli smartphone, ma non altri altrettanto comuni e diffusi, come tablet, cuffiette o tostapane. Ambigua sarebbe anche la parte in cui si parla di “prezzi ragionevoli” dei servizi di riparazione e dei pezzi di ricambio senza fornire indicazioni ulteriori sulle tariffe.

Che cosa prevede il “diritto alla riparazione”

L’obiettivo della nuova legislazione è ridurre lo spreco elettronico, molto difficile da riciclare, agevolando l’accesso dei consumatori ai servizi di riparazione dei loro prodotti e dispositivi e prolungando la scadenza della garanzia legale degli stessi di un anno a partire dal giorno della riparazione. I produttori delle apparecchiature per la casa più comuni, come elettrodomestici o smartphone, saranno tenuti a fornire informazioni sulle modalità e i costi dei servizi di riparazione offerti. Per i produttori sarà vietato sviluppare prodotti i cui software non rendano possibili le riparazioni a riparatori indipendenti o i cui pezzi di ricambio non siano reperibili se non dal produttore stesso. Per i consumatori ci sarà inoltre la possibilità di ricevere dei dispositivi in prestito mentre il proprio è in riparazione, oppure di optare per un’alternativa ricondizionata. 

Le falle

 Peccato che questa legge presenterebbe numerosi limiti, non compatibili con gli ambiziosi obiettivi climatici dell’Ue in ambito green. Innanzitutto, il diritto alla riparazione vale solo per una selezione contenuta di prodotti, come gli smartphone o le lavatrici. E se è il tablet a non funzionare? Niente, la nuova legge non li copre. Le regole per favorire la riparazione stanno diventando più efficaci ma solo per alcuni prodotti, denuncia Cristina Ganapini, coordinatrice di Right to Repair Europe, una coalizione che rappresenta oltre 100 organizzazioni. “Non c’è tempo per trovare la soluzione per ogni singolo prodotto o per un miglioramento lento ma graduale”, ha detto a Politico. Come se non bastasse, sottolinea la testata, i prodotti interessati dalla direttiva sono quelli che rispettano già i parametri indicati in un’altra legge europea, quella sulla progettazione ecocompatibile (ecodesign), quelli insomma più facili da riparare, ma non comprenderebbe i prodotti non inclusi nelle nuove norme e quindi più difficili – e costosi – da riparare. 

Nel testo si precisa anche come i prezzi dei pezzi di ricambio debbano essere “ragionevoli”, ma il significato della parola rimane vago, non essendo presenti parametri fissi. Praticamente, questa l’accusa, verrà lasciato ampio margine di manovra ai produttori e ai riparatori, con il rischio che questo diritto del cittadino-consumatore rimanga tale soltanto sulla carta. Non aiutano poi i tempi di recepimento della legge a livello nazionale, notoriamente lunghi: gli Stati membri dispongono di 24 mesi per trasformare la legge europea in legge nazionale e renderla quindi applicabile.

Fonte : Today