Cari ragazzi fragili della generazione z, ascoltate le parole di Loredana Bertè

C’è stato un momento l’altra mattina a Sanremo che ho trovato molto commovente: Il Tre, cantante che si sta rivelando vera sorpresa di questo festival, aveva organizzato un incontro con i fan per affrontare il tema della salute mentale. “Nella mia vita mi sono trovato ad affrontare momenti di fragilità poiché ero disorientato, non riuscivo a trovare il mio posto nel mondo, e penso che questo accomuni molti miei coetanei. A salvarmi è stata la musica”, ha detto il 26enne. Ed effettivamente ad aspettarlo fuori dal locale c’erano molti ragazzi in cerca di un abbraccio, di un modello, di comprensione. Accanto a Guido Luigi – questo il vero nome – c’era anche il suo manager, che ha tenuto a sottolineare come quell’incontro non era certo stato studiato per una strategia di marketing: ok, la salute mentale è ossessione e trend di una generazione intera, ha detto, ma la loro intenzione non era certo quella di cavalcarla, quanto quella di dare un palco al tema. Una precisazione sensata. Non a caso quest’anno all’Ariston sono tanti i cantanti che affrontano la questione, da La Sad ad Alessandra Amoroso a BigMama. Ce n’è una però che lo sta facendo nel modo più adorabile di tutti, e certamente con più cognizione di causa dei colleghi: è Loredana Bertè. 

Nella sua “Pazza”, Bertè ripercorre tra le righe i dolori che hanno segnato la sua vita, pur non citandoli.  Dall’infanzia violenta, con un padre padrone, all’età adulta addolorata dalla morte della sorella Mia Martini. Ma soprattutto la cantante tiene a sottolineare l’atteggiamento che il pubblico ha avuto nei confronti del suo dolore. “Prima ti dicono basta sei pazza e poi, poi ti fanno santa”, urla in note sul palco con un brano emblematico, che sembra essere il coronamento di una carriera fatta di salite e discese, di buio e riscatti (e che forse le varrà la vittoria, chissà). Uno schiaffo a qualsiasi pietismo, a ogni ipocrisia. Ma soprattutto uno schiaffo a qualsiasi autocommiserazione. Ecco, credo che questa attitudine rock con cui riscattarsi dal dolore sia quanto più mi auguro semmai mi ritroverò a cadere.

Sono stata in depressione a vent’anni, mi “salvò” Letterman 

Per la verità una volta sono già caduta. Ho sofferto di depressione a vent’anni e – proprio in quell’età che vivono adesso i ragazzi tormentati della generazione z – non avevo davvero idea di come uscirne, di cosa fare. Il tabù era ancora molto forte. Ad aiutarmi, a darmi la chiave di volta una mattina, fu David Letterman. In un discorso storico agli Stati Uniti, dopo l’attacco dell’11 settembre, il conduttore guardò in camera e disse ai concittadini: “Quello che ci è successo è terribile, ma dobbiamo essere coraggiosi. Anche fingere di essere coraggiosi è altrettanto buono”. Ecco, ai ragazzi fragili della generazione z – quelli infragiliti dalla pandemia, dalla scure emotiva che sono stata i social, dalla ossessione per la performance che questa società del narcisismo impone – oggi voglio dire di ascoltare la voce di Loredana Bertè. Di non fermarsi mai prima di “aver spremuto il cuore come un dentifricio”. Di accettare che il proprio “tubetto” possa essere temporaneamente vuoto, scarico, desolante, ma di continuare a cercare materiale intorno per riempirlo. Io non me ne sono mai pentita. 

Ragazzi, non lasciatevi ingannare 

Glielo voglio dire perché la salute mentale, oggi blaterata a destra e a manca – e spesso anche in modo strumentale per ottenere visibilità e soldi – non sia un alibi, un’amaca in cui adagiarsi. Certo è da elogiare l’iniziativa de Il Tre, che l’altra mattina mi ha molto commosso, così come sono da elogiare i messaggi lanciati sul palco da La Sad con l’obiettivo di diffondere il tema della prevenzione al suicidio. Di fragilità hanno parlato anche Marco Mengoni (“La fragilità non va rifiutata, sono felice di essere me stesso”) e Alessandra Amoroso, forte della sua rinascita dopo la tempesta mediatica che l’ha travolta l’anno scorso: se tutti costoro fossero esistiti anni fa, forse mi sarei sentita meno sola nel dolore, forse non mi sarei vergognata. Eppure però penso che, proprio come per ogni tema, anche in questo caso tutt’intorno si sta arrivando alla deriva. Una deriva che rischia di banalizzare il tema, di essere controproducente, forse un boomerang. Di salute mentale si sta arrivando a parlare per vendere orecchini a forma di tempesta, per ritrovare un posizionamento mediatico dopo crisi di immagine. 

Cari ragazzi, non lasciatevi ingannare. Non lasciatevi ingannare dal facile fascino del vittimismo, quello mandato in onda h24 dal palinsesto di una televisione piangente e “traumocentrica”: sono le lacrime a riempire i reality show, ma solo perché – lo sanno bene i comici – è molto più facile far piangere (e piangere). Non lasciatevi ingannare dal narcisismo del dolore che pervade innumerevoli TikTok: i like facili alle lacrime, spesso più morbosi che realmente empatici, saranno pure di conforto ma non costruiscono la vostra personalità (non è il giudizio a costruirla, ma la ricerca della sostanza dentro la vostra anima). Non lasciatevi ingannare da chi fa un video in cui vi dice che tre anni per una laurea triennale sono troppo pochi, che tutto è troppo, che il mondo non è a vostra misura: forse state solo sbagliando strada, cercatene una alternativa (e forse solo stanno solo cercando di arruffianarvi). Non lasciatevi ingannare dal preoccupante elogio della solitudine che sto vedendo mettere in piedi da parte di creator capaci di impostare video su “la mia giornata da ragazza sola, senza amici”, “il mio concerto da solo, senza amici, ma comunque felici”. Oppure tocca dare ragione a chi, su Twitter, vi grida “Fatevi un carattere”. 

Non vergognatevi mai del vostro dolore, lasciate che vi attraversi, elaboratelo, siate coraggiosi anche per finta e – in ultimo – fate come fa Alfa, unico della sua generazione a portare un testo proattivo, e non dolente, al festival: la sua “Vai!”. Fate come Loredana Bertè, che ora “rischia” di vincere quello stesso Premio della critica che porta proprio il nome della sorella Mia Martini. “Sono pronta a dedicarlo a lei”, può dire oggi con orgoglio. 

Ragazzo mio,
un giorno ti diranno che tuo padre
aveva per la testa grandi idee,
ma in fondo poi non ha concluso niente.

Non devi credere no,
vogliono far di te
un uomo piccolo,
una barca senza vela;
ma tu non credere no,
che appena s’alza il mare,
gli uomini senza idee
per primi vanno a fondo

 – Luigi Tenco, “Ragazzo mio” (il brano che Loredana Berté porta nella serata dei duetti)

Fonte : Today