La lenta risposta al sisma ha causato almeno 30 vittime rimaste intrappolate al freddo, in attesa di essere salvate. Inoltre un rapporto del governo rivela che molti comuni giapponesi, non solo quelli colpiti dal sisma, sono sprovvisti di forniture di emergenza per le gestanti e i neonati.
Tokyo (AsiaNews/Agenzie) – In molti comuni giapponesi mancano scorte di emergenza per giovani donne gestanti, per neo-mamme che allattano e per gli stessi bambini. A rivelarlo è uno studio governativo che riflette un Paese in pieno inverno demografico e con un’evidente disparità di genere anche nei ruoli decisionali nell’ambito del coordinamento delle emergenze: nel 61,1% delle amministrazioni locali infatti non c’è neppure una donna nei dipartimenti di prevenzione dei disastri e di gestione delle crisi. Secondo lo studio condotto in tutti i 1.741 comuni del Paese, solo il 14,3% ha accumulato scorte di alimenti per bambini, mentre lo 0,5% aveva vestiti premaman. Questi elementi assumono una gravità maggiore in seguito al terremoto del primo dell’anno – di magnitudo 7,6 – che ha colpito la prefettura Ishikawa, nel Giappone centrale, causando 238 morti e più di 14mila persone che sono ancora sfollate e vivono nei centri di accoglienza da oltre un mese. Sebbene abbiano ricevuto aiuti umanitari il report ha rilevato che l’82,5% dei kit di emergenza contiene assorbenti, ma solo l’11,9% ha biancheria intima da donna. Mentre il 72,5% prevede latte artificiale per i neonati, ma soltanto il 14,3% dispone degli alimenti necessari per lo svezzamento dei bambini fino ai sei mesi. E solo 2 comuni su 3 possiedono pannolini tra le scorte.
Uno degli elementi più gravi emersi dallo studio è che solo il 6,4% delle amministrazioni giapponesi ha dispositivi di allarme personali – come i fischietti – per chi resta intrappolato sotto un crollo causato da un terremoto. Un dato tragicamente fatale nell’ultimo sisma dove più di 30 persone sono morte di ipotermia o congelate mentre erano sotto edifici crollati. Vite che secondo un esperto di mitigazione dei disastri avrebbero potuto essere almeno parzialmente evitate se il governo avesse pre previsto dispositivi nei kit emergenziali e reagito più rapidamente al disastro.
In totale sono ancora 19 le persone disperse di cui si cercano i corpi, ma almeno 32 sono morte di freddo in attesa delle squadre di soccorso. A riferirlo è la polizia in seguito alle autopsie sui corpi. La maggior parte si trovava nelle città costiere di Wajima e Suzu, sulla costa settentrionale della prefettura, che hanno subito il peso maggiore del terremoto e del successivo tsunami.
Le prime 72 ore dopo ogni disastro naturale sono considerate la finestra critica per gli sforzi di recupero, poiché i tassi di sopravvivenza diminuiscono significativamente dopo tale periodo, secondo Takeshi Sagiya, professore presso il Centro di ricerca per la sismologia, la vulcanologia e la mitigazione dei disastri dell’Università di Nagoya. Che ha aggiunto: “Il governo e i servizi di emergenza devono imparare lezioni dal disastro. Dobbiamo sviluppare un sistema automatizzato che trasmetta tutti i dati critici ai servizi di emergenza in modo che possano rispondere rapidamente e salvare quante più vite possibile”.
Il terremoto del 1° gennaio è stato uno dei più potenti avvenuti in Giappone negli ultimi anni ed è stato un terremoto di grande entità anche se paragonato al terremoto di Kumamoto nel 2016 e a quello di Kobe nel 1995. L’obiettivo è non ripetere quantomeno gli errori del passato, visto che in alcune aree dell’isolata penisola di Noto l’acqua potrebbe non essere ripristinata per altri due mesi, aumentando i rischi per coloro che vivono in angusti centri di evacuazione dove le autorità affermano che sono state rilevate infezioni respiratorie e gastroenterite. Anche il freddo pungente rappresenta una sfida ulteriore, soprattutto per decine di residenti che dormono nelle loro auto. Secondo gli esperti di sanità pubblica, più di 900 persone erano morte dopo il devastante terremoto di Kobe del 1995, a causa dell’influenza e della mancanza di assistenza medica nei centri di evacuazione.
Fonte : Asia