Sanremo e il terrore di dire la parola “politica”, le scuse di Dargen D’Amico sull’appello per Gaza

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Festival di Sanremo 2024
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Il Festival di Sanremo 2024 verrà ricordato anche per l’allergia alla parola “politica”. Attorno all’evento politico per eccellenza, luogo di spettacolo che amplifica gesti e affermazioni più di qualunque altro, va in scena l’astensione generale non dalle prese di posizione, ma dall’associazione di queste ultime alla politica intesa in senso stretto, come se l’accostamento rappresentasse un reato, il principio di un contagio virale.

L’inizio della seconda serata ha visto protagonista Dargen D’Amico, artefice di un momento tra i più significativi dell’interminabile serata di apertura quando a fine esibizione, aveva fatto un appello esplicito per un cessate il fuoco. Ebbene l’artista, dopo la sua seconda esibizione, ci ha tenuto a smarcarsi da qualunque polemica precisando: “Non volevo essere politico, ho fatto tante cazzate nella mia vita e ho compiuto tanti peccati, anche gravi, ma non ho mai pensato di avvicinarmi alla politica”. Come se chiedere un cessate il fuoco, peraltro senza nominare esplicitamente Gaza e Medio Oriente, equivalesse a mostrare una tessera di partito.

Non si tratta di un’accusa a Dargen D’Amico, ma di un ragionamento frutto delle sue parole e dal clima pesante attorno al tema Gaza a Sanremo. La tendenza a fingere che una presa di posizione politica non sia politica, si è notata anche con la vicenda dei trattori. Sin dalla vigilia del festival Amadeus è stato chiamato ad esprimersi sulla possibile presenza dei rappresentanti del movimento dei trattori sul palco dell’Ariston e, dopo aver pronunciato legittimamente parole di sostegno alla protesta degli agricoltori, in linea con il premier Meloni tra l’altro, il direttore artistico ci ha tenuto a precisare rispondendo a Fanpage.it in conferenza stampa che no, quella non era una posizione politica:

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Non ne faccio una questione politica. Sarà che ho fatto l’istituto tecnico agrario: quella è la terra che è estremamente importante. Si tratta di gente che ha una difficoltà enorme e tutti noi potremmo pagarne le conseguenze. Non so nemmeno politicamente chi appoggi quel movimento.

La non presa di posizione politica aprioristica sembra essere diventata ormai una tecnica di sopravvivenza, nel mondo dello spettacolo e non solo, quasi facesse più paura l’apparentamento con chi condividerebbe lo stesso tipo di valore del valore stesso. Il terrore, legittimo, di essere accostati a qualsiasi tipo di partito in un paese in cui prevale una logica politica di tipo tribale, dove stai con la mia gente o contro la mia gente, genera veri e propri mostri, come quello di rinunciare a dire la propria se pur sacrosant, come nel caso di Dargen che disinnesca il suo messaggio su Gaza con un passo indietro, o come Amadeus che delegittima la sua stessa opinione sui trattori mettendo le mani avanti. Questa cosa ha un nome: si chiama autocensura.

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“L’avvenire è dei curiosi di professione”, recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare la realtà che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.

Fonte : Fanpage